I Sardi e la libertà, sa die del 2015.
Pubblichiamo la lectio magistralis, proposta da NEREIDE RUDAS, presidente del Comitato di ‘sa die de sa Sardigna’ , nel salone di Palazzo Regio, la mattina del 28 aprile 2015.
SA DIE (28 aprile 2015)
E’ passato un anno dall’ultima celebrazione di SA DIE e dopo un anno, nonostante sfavorevoli condizioni economiche e ritardi burocratici, di nuovo siamo – qui – insieme.
Essere – qui – insieme non è ovviamente, casuale, né circostanziale, né, tanto meno, privo di significato.
Innanzitutto il qui: il dove ci troviamo insieme.
Questo luogo prestigioso non è muto, ma ci parla.
Esso non è solo uno spazio fisico, geometrico, oggettivo con scanni, muri, volte, finestre che possiamo osservare e persino misurare.
La grande e magnifica sala che oggi ci accoglie è anche e, soprattutto, uno spazio “vissuto”, intessuto di ricordi, memorie, speranze.
E’ un’aula regale, carica di significati e di storia.
Noi siamo – qui – insieme nel luogo simbolo del potere regio un tempo dominante, contro il quale combatterono e morirono i nostri avi, i nostri maggiori, troppo spesso dimenticati.
SA DIE celebra appunto un momento alto del nostro lungo e tormentato percorso verso la libertà.
Da liberi (relativamente liberi) siamo – qui – insieme nel dove del nostro passato di il-libertà.
E’ questo – a me pare – è già un risultato che tutti, indistintamente tutti i sardi, in quanto tali, dovrebbero capire. O meglio dovrebbero com-prendere, nel senso fenomenologico di ‘prendere con sé’, fare proprio, interiorizzare come sentimento d’appartenenza e d’orgoglio, come diagramma d’una emozione partecipata e condivisa.
SA DIE è una festa della libertà.
In questi giorni abbiamo sentito spesso risuonare questa parola nelle celebrazioni del 70° anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo, a cui i grandi mezzi di comunicazione di massa hanno dato giusto e importante rilievo.
Ma anche SA DIE è una festa della libertà e per la libertà.
E questa parola, sia che riguardi un’intera nazione, sia che riguardi una “Piccola Patria”, rimane sempre un’immensa parola d’uguale e inestimabile forza e valore.
La libertà s’impone ancora nell’oggi, nonostante la sconfitta dei regimi totalizzanti, la caduta dei muri, i processi di decolonizzazione …
Le numerose guerre, aperte e nascose, le nuove e virulente forme di terrorismo, le diseguaglianze crescenti tra varie aree del mondo, minacciano la pace.
La libertà permane anche se alla cultura del sospetto non si è ancora sostituita la cultura del rispetto. Al di là delle mode, delle enfasi e delle possibili manipolazioni, la libertà rimane un concetto essenziale di valore, di obbiettivo e di speranza.
La sua storia è lunga e tormentata e la Sardegna ne è un esempio significativo. Nella nostra Isola la libertà è stata spesso negata e tradita. Se il suo cammino è stato tortuoso, anche l’origine della parola rimane oscura.
Il suo nome compare per la prima volta nella storia umana scritta in una tavoletta cuneiforme sumerica (III° millennio a. C.). Il testo narra di una rivolta vittoriosa contro un monarca tirannico, particolarmente oppressivo. La parola originaria è AMARGI, che letteralmente significa “ritorno alla madre”. Il punto di partenza della libertà sarebbe dunque matricentrico.
Essa apparterrebbe alla ipotizzata e discussa fase matriarcale, cara agli antropologi ottocenteschi e ai moderni ‘ecologisti sociali’. Essa sarebbe iscritta in quella fase di sviluppo dell’umanità, chiamata anche ‘società organica’, basata sull’usufrutto, a base ugualitaria e compartecipata. In essa la figura femminile è centrale: la donna è l’Archè della comunità e del suo immanente potenziale solidaristico.
Come donna, come donna della Sardegna, nella cui cultura si avverte un profumo matricentrico, amo anch’io pensare che all’origine della libertà ci sia stata una dimensione femminile-materna.
Qualunque opinione si abbia di questa lontanissima origine, sappiamo che l’antica Amargi si trasforma nella più consapevole Eleutheria: la libertà greca. La primigenia libertà irriflessiva si trasforma nella matura libertà ateniese, ove già si connota la contrapposizione di libero a schiavo, di libertà dall’esterno (dominio) a libertà dall’interno (tirannide) e si delineano i primi rapporti di autonomia, uguaglianza e democrazia.
Dobbiamo al fondamento greco anche la focalizzazione del primo rapporto tra libertà e norma.
Esso non diventerà però così stretto e obbligante come nella successiva Libertas romana, quale è significativamente espresso nell’affermazione: Libertas in legibus (consistit).
Il primato del concetto di libertà, come raro equilibrio fra benessere collettivo ed esigenza del singolo, rimane, nel mondo classico, palma degli ateniesi e trova una delle più elevate espressioni nella orazione funebre di Pericle. Le parole di Tucidide, d’ineguagliabile pregnanza di significato, si declinano in termini universali. Noi deriviamo il concetto di libertà orientata socialmente e politicamente da tale base.
Tuttavia l’idea che “l’individuo come tale ha valore infinito, … (che) l’uomo è in sé destinato alla somma libertà era estranea – avverte Hegel – all’antichità ed è venuta al mondo ad opera del Cristianesimo” e del Nuovo Testamento. Presupposto evangelico della libertà è l’idea antico-testamentaria ebraica che Dio agisce liberamente nella storia ed esige dal suo popolo fedeltà, obbedienza e conversione.
Il Cristo “plenipotenziario” d’una libertà sovrana, mediante la sua azione salvifica, rende reale la libertà.
Nella tarda scolastica la dottrina della libertà assume quella forma contro cui la Riforma sviluppa la sua tesi di “libertà non libera”.
Per Lutero la nuova concezione della libertà passa per la fede in Cristo. Solo nell’unione mediante la fede, con il Cristo, promessa di grazia e libertà, l’uomo può acquisire la sua salvezza. Per i Riformatori la libertà cristiana è una realtà spirituale. Ma la concezione riformata di libertà, vincolata solo alla parola di Dio e sottratta ad ogni autorità secolare ed ecclesiastica, determina una forte ricaduta, ben al di là della sfera religiosa. Essa trascende l’ordinamento della società medioevale, preparando una nuova fase.
Avanza con l’Illuminismo, altro nodo storico della libertà, il concetto che la libertà è lo stesso telos
della storia. Da allora la storia poté cessare di essere un coacervo di accadimenti senza ordine e scopo per divenire una serie ordinata di eventi orientati verso il fine della libertà (N. Bobbio, 1979).
Le elaborazioni del concetto di libertà, sviluppate filosoficamente, erano ormai matura per essere mediate politicamente.
Questa tendenza si concretizzò nella Rivoluzione Francese, che mobilitò le masse al grido di “libertè, egalitè, fraternità”. La costituzione francese (1791), nata dalla Rivoluzione e madre delle successive costituzioni dei Paesi Europei, afferma quale diritto inalienabile dell’uomo il diritto alla libertà.
In queste Carte Costituzionali e nello stesso Statuto della Regione Autonoma Sarda il diritto alla libertà, da dottrina filosofica, si tramuta in norma costituzionale.
In Sardegna la storia della libertà, che ho voluto brevemente richiamare, è stata particolarmente tormentata. Essa ha proceduto di pari passo con il suo simmetrico: il-libertà.
Ciò ci induce a pensare che non ci fu all’inizio un regno totale della libertà (come la parola Amargi ci aveva fatto sperare) né ci fu una prima e consapevole libertà forse nella nostra stessa straordinaria preistoria nuragica.
Ma non ci sarà neanche un libertà “perduta per sempre”: la storia è un drammatico intreccio di libertà e di oppressione.
Dobbiamo meglio abituarci a considerare la libertà non come uno stato, ma come un processo, un iter che, in un certo senso, anche noi percorriamo.
Noi sardi abbiamo, dopo molte lotte e gravosi sacrifici, acquistato una migliore condizione di libertà con la conquista di Regione Autonoma a Statuto Speciale.
La nostra libertà è nell’oggi più ampia rispetto al passato, ma è ancora ben lontana dall’essere soddisfacente.
Abbiamo, all’inizio del discorso, affermato che siamo “relativamente liberi”. L’elenco delle nostre attuali il-libertà sarebbe lungo. Tra i tanti campi possibili, ho scelto un esempio significativo: la il-libertà da deprivazione del lavoro, a cui ho dedicato specifiche ricerche.
La crisi economica, che ha interessato l’Europa e l’Italia, si è mostrata particolarmente pesante in Sardegna, una delle regioni più colpite dalla carenza di lavoro.
Se si esamina il fenomeno sulla deprivazione lavorativa rispetto ai due paradigmi della “libertà positiva” e della “libertà negativa” (N. Bobbio) si evidenzia un quadro preoccupante. Infatti, se per “libertà negativa” s’intende la situazione in cui il soggetto può agire senza essere impedito (libertas a coactione), colui che ha perso il lavoro è limitato nella sua azione: non può lavorare, è impedito in un’attività essenziale per la sua esistenza. Se, invece, per “libertà positiva” s’intende la libertà di volere, di autorealizzarsi e rendersi autonomo, colui che ha perso il lavoro non può orientare liberamente il proprio volere verso uno scopo (lavorare). Non è più in grado di autodeterminarsi, autorealizzarsi. Ma poiché il lavoro implica il rapporto del singolo con la società di cui è parte, si può affermare che il disoccupato appartiene a una società, a una Regione e a uno Stato a scarso gradiente di libertà. La Regione in cui vivo, infatti, non è in grado di garantirmi, come cittadino, una delle libertà fondamentali (la libertà di lavorare).
Chi non lavora è inoltre limitato nella possibilità di scelta.
Se dunque sembra affermarsi non un concetto di libertà assoluta ed immutabile, ma un concetto di libertà “situata”, “inquadrata” nel reale, che si declina nella libertà di scelta, noi sardi pretendiamo una più ampia possibilità di scelta e di progetto.
Vogliamo essere sardi più liberi, in un’Italia e in un’Europa libera.
Ma per ottenere questo occorre impegnarsi in un grande sforzo collettivo, in un profondo e rigoroso progetto culturale.
SA DIE è stimolo a questo.
Non è e non vuole essere un rituale ripetitivo, ma un impegno di mobilitazione dei sardi, di tutti i sardi, per una libertà più simmetrica e prospettica.