Don Arrigo Miglio parroco bino di San Giovanni Battista in Villamar e San Giacomo Apostolo in Mandas. Per cento giorni nel servizio dell’amicizia. Perché no? di Gianfranco Murtas

Una prima pubblica proposta per le difficoltà della Chiesa cagliaritana: la chiamata personale d’oggi è, per il vescovo presentatosi da noi con un pastorale di legno, nelle comunità di Villamar e di Mandas.

Nella foto: la chiesa parrocchiale di Villamar.


Di Villamar è stato parroco generoso e capace don Sergio Manunza, che considero un amico e al quale mi riporta anche la comune devozione, oggi rinnovata, alla memoria del compianto cardinale Giovanni Canestri. Di Mandas e della sua parrocchia di San Giacomo apostolo porto la responsabilità di qualche descrizione in un volume che volli dedicare, nel centenario della nascita, al caro don Ezio Sini, mandarese doc, educatore della mia infanzia in Sant’Eulalia, poi capitolare in duomo.

La vicenda che intristisce tutti, per come la cronaca di questi giorni ce l’ha presentata, associa quelle due comunità, tra Marmilla e Trexenta, ricche di storia – anche di storia spirituale – millenaria e, oggi ancora, e pur fra infinite difficoltà, ricche di lavoro sociale e solidarietà civica.

Il pensiero amico va, con ogni delicatezza, e per quanto ciascuno ne abbia bisogno, ad ogni soggetto coinvolto, nel novero anche quelli che non hanno tribuna e, fortunatamente, nessun riflettore in faccia. Tanto più gli anziani di casa e i più deboli.

Qui m’interessa raccogliere una provocazione che fu del povero padre Gilio Manias, per come la rappresentava al vescovo di Caregli e Balardi, all’indomani della morte tragica, il nipote professor Sergio Dessì Manias.

Recupero le sue parole:  «Anche con i detenuti aveva iniziato in un modo un po’ strano, ma che rifletteva interamente la sua intelligenza e la sua sensibilità: aveva ottenuto dal magistrato di sorveglianza e dal direttore di fare una esperienza di un mese intero all’interno del carcere di Bellavista. Saranno state dieci, dodici ore al giorno per trenta giorni: trecento e passa ore di colloqui con altrettanti detenuti. Conoscendoli personalmente, uno ad uno, si era fatto una idea molto concreta di questo popolo, che non era né una categoria né una massa indistinta, e attraverso di esso aveva capito la realtà delle famiglie nel bisogno materiale, magari nella vergogna, comunque con un presente e un futuro di incertezza…».

Ricordo che ne passai l’idea successivamente ad un amico vescovo, arcivescovo anzi, spiegandogli quale forza pedagogica, proprio sotto il profilo insieme evangelico ed ecclesiale, avrebbe avuto una sua esperienza simile: non in carcere per passerella, per una paternalistica pacca sulle spalle, no, invece per la conoscenza personale dei singoli lì ristretti e poi, per quanto possibile, per l’attivazione dell’intera rete dei parroci sul territorio, dei leader di comunità cioè, delegati del vescovo nell’affiancamento dei singoli e dei gruppi:  «caro don Tizio, ma tu sai che in via Gramsci civico 8 vive la famiglia di Tale – detenuto qui a Balardi, una condanna a vent’anni –, che ha lasciato i vecchi genitori in paese, e sono soli, e senza reddito»… oppure che «ha lasciato la giovane moglie e i bambini piccoli che vanno a scuola, e vivono, ribaltata, la stessa pena del padre, nella vergogna per questa detenzione, nel vuoto dell’affetto del genitore?… Mi raccomando: vai a trovarli al più presto, già oggi o domani, con la carità che devi essere tu stesso come uomo e come prete, che deve essere la tua parola di fraternità e deve essere anche il tuo aiuto materiale, se serve; prendi dall’otto per mille, quelle sono risorse della società non della Chiesa… Assicura loro che anch’io farò di tutto per passare a visitarla la famiglia, magari pranzeremo insieme…».

Come padre Gilio religioso domenicano, anche il vescovo diocesano aveva capito che il suo spazio di lavoro non era la scrivania ma la stanza dei colloqui e il giro per le famiglie.

Siamo alla vigilia quasi della beatificazione canonica di un santo di popolo, san Romero d’America. Sarebbe davvero fuori di luogo, fra tanto bagliore di Vangelo e di sangue, immaginare una scena avanzata, fuori copione, anche da noi? Don Arrigo Miglio potrebbe/dovrebbe mettersi, a mio avviso, sulla stessa linea, in fondo ben modesta, di padre Gilio e del vescovo, arcivescovo anzi, amico mio…

D’altra parte: se egli subisse un impedimento di qualsiasi natura certo la diocesi non si fermerebbe, i suoi collaboratori – speriamo non quelli che lo mandarono ad assistere ad una partita di calcio da tribune interdette da prefettura e magistratura, invece di stare con i cinquecento poveri cristiani riuniti al SS. Salvatore in Serdiana apposta per far festa con lui e con don Cugusi, oppure gli fecero cancellare cinque nomi di minori detenuti a Quartucciu per far posto in duomo, all’incontro con il papa, al milionario presidente del Cagliari e ai pensionati del ministero – dico, i suoi collaboratori manderebbero avanti le cose. E dunque?

La chiamata personale d’oggi è, per il vescovo presentatosi da noi con un pastorale di legno, nelle comunità di Villamar e di Mandas. Qui egli godrebbe – sì, godrebbe – a risiedere per simbolici cento giorni, in piena gratuità di tempo e di energie, facendosi paesano anche lui, dicendo messa e ascoltando, ascoltando, ascoltando, imparando e confidando quel tanto che in cuore si porta dentro, lì nel mezzo di fratelli maggiori di lui e di fratelli minori di lui, lui facendosi comunitario e progettando con gli altri il meglio per tutti, per i bambini e i ragazzi in primo luogo, per la loro serenità e responsabilità, accompagnandoli a maturare dentro la complessità della vita sociale e tenendo presenti le contraddizioni della natura nostra.  Facendosi aiutare a capire quale deve essere il suo compito, per non ripetere gli errori e restituire nobiltà e credibilità alla sua funzione…

Per quant’altro, superati i cento giorni, forse un sinodo non canonico, diverso cioè da quello celebrato pochi anni fa dal suo predecessore, ma aperto alla feconda gioia della testimonianza e della critica, della proposta e della comunionalità, potrebbe rimettere in acqua la barca. Richiamando molti dei pescatori che lo scisma silenzioso, indotto proprio dal cumulo ormai insopportabile di neghittosità, ha allontanato dall’arte del fare insieme.

 

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