Novas sardas de sa chida, settimanale on-line della Fondazione Sardinia, Anno IV, n° 14, domenica 19 aprile 2015.

IN CUSTA CHIDA: notiziario settimanale della Sardegna.

FARE INDUSTRIA IN COLONIA. 1. Nella provincia di Sassari, e in particolare nella città capoluogo e a Porto Torres, le donne si ammalano e muoiono di tumore ai polmoni e alle vie respiratorie più delle connazionali che vivono a Taranto. In quest’area si registra una mortalità superiore del 49 per cento rispetto al resto dell’Isola, mentre a Taranto è di un più 27 per cento rispetto al resto della Puglia. È solo uno dei numeri venuti fuori dal terzo rapporto Sentieri, lo studio epidemiologico dei territori esposti ai pericoli da inquinamento coordinato dall’Istituto superiore di Sanità.

FARE INDUSTRIA IN COLONIA. 2. Un dossier pubblicato esattamente un anno fa e raccontato in più occasioni, che  mostra come carne viva le croci e i referti ospedalieri che sono conseguenza dell’inquinamento e dell’assalto al creato. «Questo – avvisa Vincenzo Migaleddu (nella foto), radiologo e presidente Isde, Medici per l’ambiente – è un territorio che presenta anche altre criticità e sarebbe stato auspicabile che la gravità della situazione fosse emersa non per l’intervento della magistratura ma per un’assunzione di responsabilità da parte della politica e di chi ha operato e sta operando da tempo nell’area industriale».

FARE INDUSTRIA IN COLONIA. 3 . In Sardegna – che, con 445 mila ettari, ha il primato nazionale dell’estensione di siti contaminati (la seconda è la Campania, 345 mila ettari, e anche questo dà da pensare, no?) si contano due aree Sin (Porto Torres-Sassari e Sulcis Iglesiente-Guspinese). In pratica, oltre 250 mila sardi risiedono in un territorio avvelenato, un dato che, fatte le debite proporzioni non si riscontra in nessun’altra parte d’Italia. È questa la terra dell’aria salubre, del sole e della longevità? Così, solo per restare tra Sassari e Porto Torres (146 mila residenti al censimento 2011) – una terra dove l’industria ha spruzzato ovunque metalli pesanti, benzene (in falda anche una concentrazione 150 mila volte superiore alla norma), diossine e ogni genere di inquinante – lo studio dell’Istituto superiore di Sanità (che ha preso in considerazione il periodo che va dal 2003 al 2010) ha rilevato, sintetizza il dottor Migaleddu «un eccesso di mortalità, rispetto al dato regionale, di uomini e donne per tutte le cause, tutti i tumori e le malattie dell’apparato respiratorio». Croci e ricoveri in ospedale. Gli esperti hanno preso in considerazione anche i tumori d’altro genere e, tra il 2003 e il 2010, il numero dei casi registrati è stato molto più alto rispetto alle previsioni.

FARE INDUSTRIA IN COLONIA 4: pervicaci nella scelta di inquinarci.  Vertici di E.On.  «Pur coscienti dell’ingente danno ambientale che si andava aggravando giorno dopo giorno – scrive il gip Carla Altieri (nella foto)  –, non solo gli indagati hanno continuato a utilizzare i serbatoi dai quali fuoriuscivano sostanze inquinanti, a scaricare in mare i reflui tossici, a omettere di adottare i presidi necessari per evitare la diffusione di polveri di carbone. Ma hanno nascosto per anni tali dati per poi artatamente effettuare nuove analisi, facendo apparire come recente la scoperta del danno. Nessuna tutela per la salute.

FARE INDUSTRIA IN COLONIA 5. Concreto pericolo di inquinamento delle prove: dare nome e cognome ai compolici sardi, sassaresi e oltre. Ad accrescere il rischio c’è «la fitta rete di soggetti a vario titolo interessati, e facilmente e rapidamente raggiungibili, disposti a fornire ausilio anche per scongiurare ipotetici coinvolgimenti». Ripensamento strategico. In questa rete di protezione, sarebbe stato possibile continuare a occultare una situazione gravissima di inquinamento.

FARE INDUSTRIA IN COLONIA. I dirigenti di E.On volevano solo «evitare di perdere il posto al passaggio di proprietà della centrale». «Ciò significa, in sostanza – spiega il giudice Altieri – che se non fosse avvenuto il passaggio di proprietà gli indagati avrebbero perseverato nelle condotte in inquinamento aggravando, se possibile, il disastro già provocato». «Sulla base di tali sconcertanti comportamenti è logico prevedere che le necessarie bonifiche, se lasciate alle iniziative degli indagati, non verranno attuate, mentre verranno reiterati gli sversamenti nel suolo e lo scarico di reflui a mare».

FARE INDUSTRIA IN COLONIA 6. Uno spesso strato di argilla sotto i serbatoi corrosi potrebbe avere impedito la penetrazione dell’olio combustibile nel terreno. E tuttavia questo letto di argilla, impermeabile all’olio, potrebbe avere deviato il corso delle sostanze inquinanti che potrebbero essere finite molto lontano. La presenza dell’argilla è rivelata dal gip, che fa riferimento a conversazioni intercettate tra gli indagati. È il 20 ottobre del 2014. Il vice direttore della centrale Livio Russo  parla con Paolo Venerucci. Per verificare lo stato dell’inquinamento, il direttore delle Risorse umane di E.On consiglia di svuotare i serbatoi e di scavare. «Ma non riesco ad arrivare là – risponde Russo –, l’avevo pensato pure questo, ma non ad arrivare a quella profondità facendola in diagonale perché lì sotto dopo tre metri ci abbiamo argilla a gò gò… Dopo quattro metri ci abbiamo enormi banchi di argilla dove non troviamo niente perché l’argilla non è permeabile all’olio».

FARE INDUSTRIA IN COLONIA. 7. La magistratura sostiene che anche negli altri quattro serbatoi (in tutto sono sei: grandi contenitori da 100mila e 50mila metri cubi) vi siano stati «prolungati e continui sversamenti di olio combustibile», e che il direttore della centrale Marco Bertolino (finito agli arresti domiciliari) fosse a conoscenza «della compromissione dei serbatoi fin dall’anno 2006).

FARE INDUSTRIA IN COLONIA. 8.  Il ricatto dei posti di lavoro. La prima mossa ufficiale della multinazionale tedesca è stata quella di restituire una guida certa al polo energetico di Fiume Santo «decapitato» dopo gli arresti del direttore Marco Bertolino e del suo vice Livio Russo. Ieri – nel primo pomeriggio – è stato presentato il nuovo capo centrale: si tratta di Andrea Bellocchio, che arriva dall’impianto di Ostiglia (Mantova).  C’è grande preoccupazione per la tutela dei posti di lavoro. Ed è difficile fare previsioni, al momento. L’altro aspetto con il quale si dovrà confrontare da subito il nuovo direttore è quello delle bonifiche. Dopo una lunga attesa, il percorso era stato avviato, ultimate le opere di messa in sicurezza propedeutiche alla demolizione dei vecchi gruppi 1 e 2, ormai fermi perché dichiarati fuori legge (ma che avevano beneficiato per anni dell’autorizzazione «a inquinare» rilasciata dal ministero dell’Ambiente e dello Sviluppo economico: e questa è l’altra faccia di uno Stato che da una parte ti autorizza a restare fuori legge e dall’altra ti sanziona).

FARE INDUSTRIA IN COLONIA. 9. La commissione tecnica di controllo della centrale E.On si è riunita, come da programma, venerdì mattina. Abbiamo chiesto lumi anche questa mattina, nessun rappresentante dell’impianto di E.On era presente, l’area interessata era chiaramente interdetta. Appena sarà possibile torneremo alla carica per un sopralluogo. Però sia chiaro, noi analizziamo dati, non li raccogliamo. Dati di centraline sparse nel territorio sulla qualità dell’aria e dell’acqua. Dati incrociati con quelli Arpas. E in regola. Per l’inquinamento al suolo avremmo dovuto avere a disposizione carotaggi, che E.On è tenuta a fare solo in caso di realizzazioni di nuove opere nel terreno interessato».  Rimane da capire l’utilità della commissione, per il passato e per il futuro.

FARE INDUSTRIA IN COLONIA. 10..Ganau, già medico del lavoro presso l’ Eni di P. Torres: più potere alle amministrazioni. Della commissione tecnica di controllo di E.On, come allora sindaco di Sassari, è stato membro anche lui. «Il problema sono i controlli sulle aree industriali e le norme che li riguardano. Le amministrazioni comunque è meglio che rimangano dentro. Magari con poteri maggiori». Il problema è soprattutto la subalternità degli amministratori locali al ricatto occupazionale delle grandi imprese multinazionali.

SORU PRENDE IL TIMONE DEL GOVERNO DELLA SARDEGNA. Il faccia a faccia tra Soru e Pigliaru c’è stato, venerdì scorso, e si è concluso nel modo che nessuno si aspettava: «Abbiamo condiviso che anche la competenza politica è importante», afferma Soru, «la capacità di chi si è confrontato per tanto tempo con amministrazioni piccole, medie e grandi, di chi condivide la necessità di portarsi dietro tutti per un progetto di rilancio della Regione».  In altre parole: il consgilio di facoltà che governa la Sardegna, c0n alcune assistenti, ha fallito. Portiamoci dentro qualche buon sindaco… Ma è difficile pensare che questo equilibrio tra i due duri.

 

Condividi su:

    Comments are closed.