“Meglio sposarsi che ardere”. Anche in seconde nozze, di Sandro Magister

Le Chiese ortodosse applicano ai divorziati il detto dell’apostolo Paolo. E c’è chi vuole introdurre tale prassi anche nella Chiesa cattolica. Tra questi un teologo della diocesi di Bologna, la stessa del cardinale Caffarra.


ROMA, 2 aprile 2015 – Nel giovedì santo risuona più che mai attuale il monito dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto: “Chiunque mangia il pane e beve al calice del Signore in modo indegno… mangia e beve la propria condanna”.

È da questo monito che la Chiesa cattolica ha derivato il divieto di dare la comunione ai divorziati risposati.

Nelle Chiese ortodosse è prevalsa invece una prassi diversa. Che arriva a benedire le seconde nozze e a concedere la comunione eucaristica a chi si è risposato.

Chi vuole introdurre questa prassi anche nella Chiesa cattolica addita infatti le Chiese ortodosse come un esempio di “misericordia” da imitare, e chiama a proprio sostegno una sibillina battuta di papa Francesco del 28 luglio 2013, sull’aereo di ritorno da Rio de Janeiro:

“Gli ortodossi seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una seconda possibilità [di matrimonio], lo permettono. Credo che questo problema si debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale”.

Ma alla vigilia della prima tornata del sinodo sulla famiglia, lo scorso ottobre, l’arcivescovo Cyril Vasil, segretario della congregazione vaticana per le Chiese orientali, mise in guardia da una lettura “ingenua” della prassi delle Chiese ortodosse in materia di matrimonio.

Le seconde nozze – spiegò – sono entrate nella prassi delle Chiese orientali in epoca tardiva, verso la fine del primo millennio. Vi sono entrate sotto l’invasiva influenza della legislazione imperiale bizantina, di cui le Chiese erano esecutrici. E anche oggi lo scioglimento delle prime nozze è quasi sempre per tali Chiese la semplice trascrizione di una sentenza di divorzio emessa dall’autorità civile.

Vasil è un’autorità in materia. Slovacco di rito greco, gesuita, è stato decano della facoltà di diritto canonico presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma. Il suo saggio sul divorzio e le seconde nozze nelle Chiese ortodosse era parte di un libro a più voci uscito alla vigilia del sinodo con il contributo di cinque cardinali, tutti contrari alla comunione ai divorziati risposati:

“Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa cattolica”, Cantagalli, Siena, 2014.

I passaggi salienti del saggio di Vasil sono riprodotti in questo servizio di www.chiesa:

> Divorzio e seconde nozze. La cedevole “oikonomia” delle Chiese ortodosse

Tuttavia non tutti gli esperti sono d’accordo con lui.

Enrico Morini, professore di storia delle Chiese ortodosse nell’università statale di Bologna, ha scritto in nota a un suo saggio su “Memorie Teologiche”, la rivista on line della sua facoltà, a proposito dello scioglimento del vincolo nuziale e alla possibilità di un secondo matrimonio, ammessi dalle Chiese ortodosse:

“Questo dato incontrovertibile della modulazione della prassi ecclesiastica, tenendo conto della normativa civile in ambito matrimoniale, sembra presentato in chiave negativa da Cyril Vasil, come un’adulterazione secolarizzante del dettato evangelico, quasi un’acquiescenza a leggi dello Stato in contrasto con la legge divina. Mi sembra invece costituire una prassi che sapientemente applica nella pastorale il criterio salvifico della misericordia, senza compromettere il principio dell’indissolubilità. Nelle problematiche acute suscitate dall’attuale contesto sociologico, essa rappresenta, a mio parere, una valida alternativa all’ipotesi dell’ammissione alla comunione sacramentale dei divorziati risposati. Infatti, anziché ammettere al sacramento chi oggettivamente vive in stato di peccato, tale prassi sana piuttosto la situazione peccaminosa con una ratifica ecclesiale non sacramentale, che valorizza ciò che vi è di positivo in un’unione naturale, stabile e fedele”.

Il saggio di Morini può essere letto integralmente nel sito on line di “Memorie Teologiche”:

> Il matrimonio nella dottrina e nella prassi canonica della Chiesa ortodossa

Mentre qui di seguito ne sono riprodotti i passaggi salienti.

Va notato che Morini è diacono e ha presieduto la commissione per l’ecumenismo dell’arcidiocesi di Bologna, retta da Carlo Caffara che è uno dei cinque cardinali del volume sopra citato e gode della crescente stima di papa Francesco:

> Borsino del sinodo. Giù Kasper, su Caffarra

Segno che proprio una diocesi retta da un vescovo “intransigente” può essere esempio di dialogo aperto e fruttuoso tra posizioni diverse e persino opposte, nel reciproco rispetto e ai livelli più alti di competenza.

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IL MATRIMONIO NELLA CHIESA ORTODOSSA

di Enrico Morini

1. Teologia del matrimonio cristiano

Per comprendere la normativa della Chiesa ortodossa sul matrimonio è necessario partire dalle premesse teologiche. […]

Qual è l’essenza del sacramento nuziale? Gli sposi sono icone viventi – cioè immagini che implicano la presenza reale di ciò che è rappresentato – di due congiunzioni soprannaturali parallele, in quanto una implica l’altra: l’unione del Dio Verbo, nell’incarnazione, con la natura umana e quella del Cristo, Verbo incarnato, con la Chiesa. […]

Conseguenze:

a. La necessità assoluta dell’eterosessualità del matrimonio. L’unione omosessuale, non è un semplice disordine: è un mostro, che profana la sacralità stessa del matrimonio, è una contraffazione sacrilega dell’unione divino-umana e dell’unione Cristo-Chiesa. Annichilisce il carattere iconico del matrimonio. […]

b. Unità del matrimonio, che esclude nel modo più assoluto la poligamia simultanea, ma anche quella successiva, dopo una o più vedovanze. Infatti […], come ogni altro sacramento, il matrimonio cristiano non riguarda solo la vita terrena, ma anche la vita eterna: pertanto la grazia del sacramento non cessa con la morte, ma costituisce un’unità eterna tra coloro che lo hanno ricevuto. Cessa l’esercizio del matrimonio –come detto dal Signore “neque nubent neque nubentur” – ma non la grazia sacramentale.

c. Altrettanto assoluta è la sua indissolubilità. Se il matrimonio è icona dell’incarnazione non può essere temporaneo. Come la consacrazione verginale nel monachesimo – per la quale nell’Ortodossia non si ammettono dispense –, esso si proietta nell’eternità. La grazia di un sacramento – come è risaputo per il battesimo e per la cresima – non si può togliere. […]

2. Matrimonio civile e convivenze

Questo quadro teologico comporta delle ricadute ben precise nel giudicare, ad esempio, il matrimonio civile e le convivenze.

L’unione tra un uomo e una donna, contratta secondo le leggi civili – o religiose di altra fede – con il proposito della stabilità e della reciproca fedeltà, adombra in se stessa il mistero divino-umano del matrimonio, anche se non realizza il mistero del matrimonio cristiano, né riproduce l’immagine dell’archetipo divino. È un fatto naturale e non soprannaturale. […]

Però, pur non essendo sacramento, è ugualmente un vincolo sacro, in quanto adombra la vera icona. Anche se i due coniugi non vengono trasformati dalla grazia divina, tuttavia nella loro unione c’è una certa presenza di grazia, ulteriormente depotenziata, ovviamente, nelle convivenze al di fuori del matrimonio, le quali, se poi non c’è intenzione di stabilità e di fedeltà, sono pura e semplice fornicazione.

Per tutto questo la Chiesa antica, prima che si affermasse il rito cristiano del matrimonio, accettava come salvifiche le nozze civili.

3. L’economia ecclesiastica

La Chiesa si trovò subito di fronte al fatto che la legislazione civile consentiva non solo le seconde nozze ai vedovi, ma contemplava anche lo scioglimento del vincolo nuziale e la possibilità di un ulteriore matrimonio.

Per risolvere questo grave problema pastorale – che non fu solo della Chiesa antica, ma si è acutizzato oggi con la secolarizzazione della società e l’affermazione della laicità dello Stato – la Chiesa orientale ha elaborato il concetto di “economia”. […]

Tecnicamente l’economia ecclesiastica è la possibilità di concedere deroghe, in forma temporanea o permanente, da una prescrizione normativa, senza per questo inficiare in alcun modo la validità della prescrizione stessa. Tale procedimento, con il quale si mitiga la durezza di una legge nel momento stesso in cui se ne ribadisce la validità, si giustifica solo con il fine superiore di agevolare il conseguimento della salvezza eterna, laddove la legge, applicata in tutto il suo rigore, potrebbe ostacolarlo.

Soltanto la Chiesa, che attualizza nel tempo e nella storia l’opera salvifica del Cristo, può derogare dalla lettera della legge. Agendo in tal modo infatti essa non fa che imitare l’infinita misericordia divina, che vuole che “tutti gli uomini siano salvati” (1 Tim 2, 4) e si ritiene perciò autorizzata a concedere deroghe persino alle prescrizioni risalenti al Cristo stesso, talvolta risultando in apparenza più condiscendente del suo stesso Signore. […]

In modo più concettuale l’economia canonica potrebbe essere definita la “pastorale della misericordia”, che riesce ad addolcire le durezze della legge, senza in alcun modo comprometterne la validità. […]

4. Nozze dei vedovi

Il primo ricorso all’economia in ambito matrimoniale sarebbe testimoniato nella Sacra Scrittura. L’apostolo Paolo insegna, nella prospettiva di un’imminente attesa escatologica, che la verginità e preferibile al matrimonio, ma che comunque “è meglio sposarsi che ardere” (1 Cor 7, 8-9). Se questa è un’indicazione generale, a fortiori essa vale per i vedovi, ai quali pure raccomanda di non sposarsi (1 Cor 7, 40). […] Un secondo matrimonio viene pertanto consentito ai vedovi come una medicina contro la fornicazione. […]

Questo matrimonio medicinale non potendo riprodurre con la dovuta perfezione il modello nuziale divino-umano, non è propriamente sacramento: smentisce infatti il principio dell’unità del matrimonio che, appartenendo all’ordine soprannaturale, si proietta nell’eternità. La madre Chiesa tuttavia lo benedice: sia per il carattere comunque salvifico che comporta un’unione stabile e fedele, sia per aiutare i nuovi coniugi ad evitare il peccato di fornicazione.

Per questo fu preparato un rito per i deutero-coniugati, nel quale non era prevista in origine l’incoronazione degli sposi, caratterizzato dal fatto che:

a. Le preghiere pronunciate dal sacerdote sono di carattere penitenziale.

b. Ai due coniugi sono imposte delle pratiche penitenziali, che comportano anche un lungo periodo di astensione dalla comunione eucaristica. […]

5. Nozze dei divorziati

Ciò che maggiormente colpisce nella normativa canonica della Chiesa ortodossa – ma è frutto di una profonda coerenza – è il fatto che in essa le seconde nozze dei divorziati vengano assimilate a quelle dei vedovi.

Il divorzio è contrario alla natura, in quanto i due diventano una carne sola, ed è contrario alla legge divina, perché Dio l’ha proibito: “l’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. Tuttavia l’uomo, che ha in sé la libertà di peccare, ha altresì la tremenda possibilità di distruggere, con il peccato, l’integrità della comunione sponsale, causare la morte morale – non sacramentale, perché il matrimonio è intrinsecamente indissolubile – del matrimonio stesso. […]

Si può dire che dei due aspetti, sacramentale e contrattuale, del matrimonio cristiano – che la concezione orientale tiene maggiormente distinti rispetto a quella occidentale – è l’aspetto contrattuale che viene sciolto dal divorzio.

Questo viene concesso dalla Chiesa non sulla base della semplice volontà dei coniugi – nei paesi ortodossi la Chiesa si è sempre opposta a che le leggi civili consentano il divorzio consensuale – ma in presenza di gravi fatti peccaminosi, qualificabili come “crimina” contro il matrimonio. […] Essi sono principalmente:

a. L’adulterio di uno dei coniugi.

b. L’abbandono del tetto coniugale.

c. Atti di violenza, che possono arrivare sino al tentativo di sopprimere
il coniuge.

d. L’apostasia dal cristianesimo di uno dei coniugi. […]

Va sottolineato che la rottura del matrimonio è sempre un atto delittuoso, in quanto infrange l’icona delle nozze divino-umane e coinvolge pertanto nel profondo il
rapporto dei coniugi con Dio. Per questo il colpevole non può riconciliarsi con Dio solo con il sacramento della confessione, ma viene privato della comunione sacramentale per un certo periodo, anche se non si risposa. Tale sanzione significa che il colpevole ha commesso un reato contro la fede cristiana, ma si configura tuttavia come un’esclusione solo temporanea dalla comunione, in quanto la Chiesa è posta per la salvezza degli uomini e non per loro la condanna.

La parte innocente invece, se mantiene la continenza, non riceve alcuna sanzione. Ma se, per non “ardere”, le viene concesso un secondo matrimonio, le vengono ugualmente imposte le consuete penitenze, come ad un ammalato si prescrivono le dovute medicine. Esse mostrano che il secondo matrimonio è una deroga alla legge divina, giustificata – come applicazione misericordiosa della medesima legge – dall’infermità della carne.

L’esigenza imprescindibile, infatti, è evitare la fornicazione, che sarebbe esiziale per la salvezza dell’individuo. In quanto rapporto non stabile e con persone diverse, essa è ancor più distruttiva del mistero di cui il matrimonio è l’immagine. Assimilabile alla poligamia simultanea, essa è il massimo male nell’etica matrimoniale. Infatti un rapporto sessuale fisso, di uno con un’unica, è comunque una pallida immagine del mistero, anche se massimamente imperfetto al di fuori del sacramento, mentre la fornicazione non può mai esserlo. […]

Ha scritto il vescovo greco-cattolico Dimitrios Salachas: “La cura pastorale della Chiesa deve cercare la soluzione più accettabile per ambedue le parti e per i loro figli. In molti casi una nuova unione matrimoniale è inevitabile, ma dal punto di vista della Chiesa questo nuovo matrimonio non può avere la pienezza sacramentale del primo: bisogna adoperare il rito per i deutero-coniugati”. […]

6. Conclusioni

Non ci si deve lasciare ingannare dalle differenze tra le due Chiese, cattolica ed ortodossa, in merito alla normativa matrimoniale. Esiste infatti un basilare consenso teologico fondato sull’unità e indissolubilità del sacramento e la diversa prassi si basa unicamente su un diversa rilevazione del dato empirico.

Per l’Occidente – che in una visione prevalentemente giuridica identifica contratto e sacramento – può avvenire che siano dichiarati nulli matrimoni avvenuti e vissuti solo perché una clausola sociale – e non teologica – non è stata pienamente adempiuta.

Ora questi matrimoni, per l’Oriente ortodosso, sarebbero perfettamente validi, in quanto l’aspetto contrattuale non è considerato elemento costitutivo del sacramento, ma lo sono piuttosto gli elementi essenziali iconici del mistero del Verbo incarnato.

Vorrei concludere con queste parole dello storico e teologo russo-americano John Meyendorff, che sintetizzano efficacemente la prospettiva della Chiesa ortodossa:

“La Chiesa è sempre stata comprensiva verso la debolezza umana e non ha cercato di imporre il Vangelo per mezzo di prescrizioni puramente formali. Soltanto una consacrazione cosciente di tutta la vita a Cristo rende comprensibile tutto il significato e la pienezza della dottrina evangelica sul matrimonio. Ma questa consacrazione rimane inaccessibile a molti”.

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La rivista on line su cui è apparso il saggio di Enrico Morini:

> Memorie Teologiche

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