Gli Aymerich, i documenti della storia e gli archivisti. Un libro–finestra su sette secoli di vicende isolane, di Gianfranco Murtas
Manuela Garau, , Il patrimonio archivistico e librario della famiglia Aymerich, Editoriale Documenta, Cagliari, 2015.
Le sintesi, nei libri di storia, sono ovviamente necessità ed obiettivo sempre. Saggi più mirati soddisfano il bisogno dell’analisi, dell’indugio, dell’approfondimento di aspetti o momenti particolari che sovente offrono il destro alla letteratura per estrapolazioni narrative, talvolta in mix fra documentazione ed invenzione. E in comunque tutto si rivela la creatività dell’autore, la sua cultura e sensibilità ed arte: così nella lettura ragionata della storia, nei processi diacronici, come nella espansione fantastica che gioca sulle suggestioni dei nessi possibili o probabili, e qualche volta anche improbabili, fra quadri ora coevi ora temporalmente staccati. C’è sempre spazio per tutti, basta dichiarare in partenza quel che si vuol fare e dare.
Le suggestioni che una famiglia sette volte secolare come è quella Aymerich sardi, che al presente cagliaritano ancora consegna professionalità diverse e spiccate, come a far corona – se mi è dato di fare un solo nome – al profilo civico, scientifico ed accademico del rettore professore Giuseppe, sono infinite. Attraversando per i tre quarti di un millennio la storia della Sardegna, quella feudale e proprietaria, quella militare e di governo e perfino ecclesiastica, ben si potrebbe dalle vicende degli Aymerich, anche per gli intrecci con altre famiglie eccellenti – incidenti dunque sulla vita di molti sottoposti e in luoghi diversi dell’Isola –, ricavare i materiali anche per una “controstoria”, per una storia parallela vista o vissuta da una qualche altra famiglia del popolo, sviluppatasi nella successione delle generazioni, senza gli agi e le pubbliche responsabilità della maggiore. Affiancata e subalterna, pur con una sua definita soggettività. Fra i dieci scrittori sardi nostri contemporanei che godono del maggior accredito fra editori e lettori potrebbe essercene qualcuno – mi piacerebbe – capace di rileggere la storia dell’Isola sulla falsariga del probabile esistenziale, allungato o spalmato nei secoli, di una modesta compagine timorata di Dio e degli Aymerich, fra il Castello di Cagliari e il dominio maggiore di Laconi o di Villamar.
La sintesi estrema ma efficace che Manuela Garau offre degli stati di famiglia, delle attività economiche per lo più mercantili nel Mediterraneo occidentale (insomma fra Sardegna e Maiorca e penisola iberica, Valenza e Barcellona in primis) e del segno lasciato nella cultura e nell’architettura isolana a partire dalla stagione catalano-aragonese fino ad arrivare al pieno Risorgimento nazionale, basta a farci capire, della schiatta Aymerich, le dimensioni del suo specifico, fra glorie e miserie, ed attraverso tante diverse stagioni, all’interno del vissuto della Sardegna. Si leggono le pagine – una quarantina, note comprese – del capitolo “La famiglia Aymerich” che apre il bel libro, freschissimo di stampa per i tipi della Editoriale Documenta, Il patrimonio archivistico e librario della famiglia Aymerich, con il gusto della guida di percorso, per capirne qualcosa pur andando in velocità e però raccogliendo tutte quelle provocazioni, ora intellettuali ora puramente emotive o sentimentali, che ti fanno segnare a margine note e rimandi. Perché in questa preziosa macchina del tempo entrano uomini e territori, arte – il retablo di Villamar, gli arredi della cattedrale di Ales officiata da un vescovo Aymerich negli stessi anni delle campagne napoleoniche(e all’indomani, nel nostro Campidano, del lungo e fecondo episcopato di monsignor Pilo) – e architettura – dal palazzo disegnato dal Cima nella via cagliaritana dei Genovesi alla chiesa della Speranza attigua al duomo di Santa Maria e sede dello Stamento militare(nonché pantheon gentilizio), dal castello medievale di Laconi al palazzo neoclassico dell’Ottocento anch’esso disegnato, nel paese, dal Cima . E non solo: anche guerre e teste mozzate, di recente rilanciate nel concerto dei fantasmi cittadini evocati/rievocati da Pierluigi Serra… e cui associo sempre, nei racconti comunitari che mi permetto di tanto in tanto, le atmosfere che già avevano portato, a Toledo, al rogo del nostro Sigimondo Arquer incolpato, per convenienze politiche, di luteranesimo.
Entra anche, a voler restare per un poco altresì nella nostra storia mineraria, l’ostinazione dai tratti egoistici, del conte-visconte-marchese-signore, nonché “grande di Spagna” di prima classe ed ultima “prima voce”, Ignazio V Aymerich Ripoll, fatto senatore del regno sardo-piemontese (poi italiano) nel fatale 1848 perché, secondo le categorie del laticlavio, contribuente da almeno un triennio di un minimo di tremila lire («imposizione diretta in ragione dei beni o industria» posseduti). Sostenitore – don Ignazio – della unità o integrità proprietaria di suolo e sottosuolo, in linea con il sentire (e gli interessi)della borghesia agraria isolana di metà Ottocento, contro la linea separatista, in logica capitalistica e dunque liberal-continentale, di un Sella, al tempo della commissione d’inchiesta parlamentare presieduta nel 1869 dal Depretis. Storie, quante storie!
L’opera della Garau ha vinto il Premio Bibliographica 2011 bandito dalla Biblioteca di Sardegna e si rivolge, per forza di cose, a un pubblico ristretto e specializzato, trattandosi di uno strumento di consultazione di un complesso di fondi – o direi meglio, di un fondo complesso, articolato e stratificato, allocato in diverse sedi conservative – indubbiamente raro, forse unico nell’Isola, per ricchezza di datazione e copiosità delle unità d’archivio e dei titoli di biblioteca. Dico pubblico ristretto e specializzato, ma forse, sul punto, mi sbaglio…
Parentesi personale. Ancora adolescente ebbi la grande fortuna di incontrare, nella sua casa cagliaritana di Villanova (un piano alto e panoramico della via San Giovanni civico 402), Giuseppe Della Maria. Un martire della cultura, a vedere quanto da lui è venuto, sia in produzioni – e nel più mettici il regesto completo de L’Unione Sarda 1889-1958, o le lunghe annate del bimestrale (dal marzo 1955)Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo e Archivio Tradizioni Popolari – sia in liberalità, a pensare alla donazione del suo fondo archivistico, e dell’annessa emeroteca, alla Biblioteca Universitaria di Cagliari. Si era a ridosso dell’anno cinquantenario della morte di Ottone Bacaredda ed egli aveva curato, con Francesco Alziator, Paolo De Magistris, Nicola Valle e Lino Salis, il bel volume sul sindaco-mito di Cagliari, stampato e distribuito dal Municipio essendo allora sindaco Eudoro Fanti.
Già sofferente (sarebbe scomparso pochi anni dopo, nel 1977, lo stesso anno di Alziator!), egli mi si rivelò per due aspetti singolari: per dire come un non accademico – trattandosi di un veterinario di lunga e appassionata esperienza – può amare e coltivare materie all’apparenza lontane dal campo diretto della sua professione, fino a divenirne autorevole referente, e in secondo luogo per rappresentare egli, nello studio caotico in cui trafficava come un umile e disciplinato artigiano, una metodologia classificatoria all’avanguardia, in tempi in cui l’informatica era ancora lungi dall’affacciarsi alla scienza archivistica.
Pressoché negli stessi mesi di quel felice incontro collaborai, pur con qualche episodicità, nelle stanze dell’ENDAS (allora al 128 della via Sonnino), al riordino delle migliaia di schede che il mio amico Bruno Josto Anedda, al tempo redattore di Radio Cagliari e collaboratore del dipartimento storico della facoltà di Scienze Politiche, nonché segretario regionale uscente del glorioso Partito Repubblicano Italiano, aveva compilato in vista della uscita del primo volume del Diario politico di Giorgio Asproni (introdotto appunto con la nota biografica di Anedda – scopritore del monumentale e meraviglioso manoscritto custodito dal conte Dolfin erede dell’ingegner Giorgino – ed i due saggi storici dei compianti maestri ed amici Tito Orrù e Carlino Sole).
Ho richiamato questi rapidi momenti di vita personale per onorare chi pure ha esemplarmente segnato o incoraggiato, in un modo o nell’altro, la mia propensione creativa alla ricerca e alla scrittura – Della Maria e Alziator, Anedda e Orrù o Sole – ma anche per evidenziare l’importanza assolutamente fondamentale del “semilavorato” che la fatica, il genio e la modestia dell’applicazione metodica dell’archivista donano al ricercatore, allo studioso, al saggista, allo storico, a chi infine firma un titolo da aggiungere alla bibliografia generale di pubblico utilizzo ed alle meritate soddisfazioni compensatrici dell’autore.
Un patrimonio archivistico e librario. Le magie dell’informatica, alleggerendo i pesi ai classificatori, non tolgono però valore ed onore a chi, con rigore e competenza – virtù morali prima che d’altra natura –, si appresta alla fatica del censimento dei fondi secondo le regole, in periodico affinamento o aggiornamento, sistematizzate dai maggiori, come – trattandosi degli italiani – sono gli udinesi Laura Casella e Roberto Navarrini, il campano fiorentino Arnaldo D’Addario, i romani (quanto meno di residenza) Donato Tamblé ed Elio Lodolini, pressoché tutti affermatisi nelle sinergie fra competenza ed esperienza, o dì pure fra dipartimenti universitari ed amministrazioni dei beni culturali, soprintendenze archivistiche ecc.
A quelle disposizioni metodologiche, tanto più alle regole suggerite dal Navarrini con il suo studio su La conservazione della memoria nell’azienda familiare, ha fatto riferimento scrupoloso e meritorio appunto Manuela Garau, giovane assegnista sarda che ha speso al meglio tempo ed energie, intelligenza ed abilità, offrendosi al riordino di ben 4.473 unità complessive del patrimonio archivistico degli Aymerich passato per blocchi, in epoche diverse, ad alcuni enti pubblici dell’Isola: dall’Archivio di Stato di Cagliari a quello Storico Comunale del capoluogo, alla Biblioteca Universitaria pure di Cagliari. E in sovrappiù – per la parte libraria, davvero non meno pregevole – alla Camera di Commercio che vanta, in città, una delle biblioteche più ricche e preziose dell’intera Sardegna.
La pluralità delle sedi conservative, ciascuna ricettiva di un singolo blocco, se ha frammentato il patrimonio cartaceo, ha però consentito più agili integrazioni, come è stato per le cartelle delle pergamene (ben 157 quelle custodite nell’Archivio di Stato poi arricchite, nella complessiva raccolta delle cosiddette pergamene “laiche”, da apporti di varia provenienza), o anche, per altre unità d’archivio, al blocco affidato oggi alla MEM (Mediateca del Mediterraneo).
Alle quasi duecento pagine degli indici dei materiali custoditi nei quattro Archivi/Biblioteche di Cagliari (riassumendo: Atti patrimoniali e Pergamene all’Archivio di Stato; Atti notarili, Epistolario, Carte Stamento Militare, Carte Senatore Ignazio Aymerich, Carte Marchesato di Samassi, Carte Contea Villamar, Carte Viscontado Sanluri, Carte Baronia Ploaghe all’Archivio storico comunale; Fondi librari Prima-seconda-terza vendita alla Camera di Commercio; Fondo Laconi alla Biblioteca Universitaria), Manuela Garau premette due brevi capitoli illustrativi, con vivace modulo narrativo e generoso supporto di note, tanto del patrimonio librario e documentario nel passaggio da fondo privato a fondo pubblico quanto della sezione libraria all’ente camerale (che alla vigilia della seconda guerra mondiale acquisì, in tre distinte fasi, 460 unità, e precisamente 191 volumi – taluno in più tomi – e 269 opuscoli , e nel mezzo addirittura alcune cinquecentine e altri testi, in lingua latina, italiana, francese, spagnola, catalana ed inglese, databili ai secoli XVII, XVIII e XIX).
La illustrazione di fondi e sub-fondi è, pur con la obbligata sintesi e scrittura formale, geometrica perfino, nitida e gustosa: evidenza di amore alla storia di cui le carte sono testimonianza. Merito della Garau – ma come lei ne ho trovato, negli anni, altre e altri, fra i responsabili e gli addetti al servizio di tanta preziosità, dalla Ferrai Cocco Ortu alla Longhitano, dalla Gessa alla Passiu, al caro amico mio don Tonino Cabizzosu che ha diretto per lunghi anni l’Archivio Diocesano di Cagliari (prima dell’improvvido avvicendamento di un anno fa, millesimo passo falso dell’arcivescovo Miglio) –, dico merito della Garau è quello di saper cogliere e trasmettere il senso umano delle carte, quel tanto di immateriale che accompagna, nella memoria evocatrice, il documento, restituendolo all’occasione che l’ha prodotto: perché lì è fissato un momento di vita, ora pensiero ora sentimento, ora genio e virtù o vizio e miseria, ora illuminazione e lungimiranza o pena e grettezza…
Il supporto informatico (Cd-rom)allegato al lavoro della Garau così come l’inserto fotografico che riproduce alcune delle pagine del fondo singolare/plurale aggiunge pregio all’opera, che sa farsi gustare, per ampie sue parti, anche da chi non ha stretta competenza archivistica. E qui recupero, ma per risolverlo, il dubbio sopra affacciato.
Riflessione a latere e conclusiva. La valenza formativa dell’archivistica è cosa che mi pare rivelarsi potente da questo testo che è prezioso nella sua sobrietà grafica. Proprio perché siamo in un’era di passaggio dal cartaceo all’informatico, e siamo esposti al rischio di perdere consapevolezza della importanza morale e narrativa del documento, dovrebbero forse gli insegnanti educare i ragazzi, già dalle prime classi delle medie, alla conservazione e classificazione dei materiali disponibili, a cominciare da quelli di personale e diretto interesse, siano le fotografie che di un album fotografico fanno una narrazione completa – premessa e avvio, sviluppo e conclusione e lasciti –, siano le cronache delle partite giocate dalla squadra del cuore… Nelle comunità di recupero, sia quelle terapeutiche che quelle cosiddette di vita, si fa, e costituisce parte rilevante e puntuale del programma formativo, l’attività di riordino di quanto sia traccia o prova del più ordinario e necessario lavoro quotidiano… Perché, ifnine, siamo tutti protagonisti della storia del mondo. Siamo tutti, come si direbbe oggi, Aymerich…