Maurizio Landini e la “coalizione sociale”, di Benedetto Sechi

Non sarà Solidarnosc, il movimento che Maurizio Landini vuole far nascere dall’incubatore FIOM, ma forse, anche inconsapevolmente, ne vorrebbe o potrebbe ricalcare le orme.

Certo l’Italia di oggi non è la Polonia comunista di  Wojciech Jaruzelcki , nè Matteo Renzi sembrerebbe somigliargli, per quanto possiamo rilevare in lui alcuni tratti da “caporale”.  Ma all’esperienza di Solidarnosc, sindacato guidato dall’elettricista Lech Walesa, divenuto poi Presidente della Polonia, Landini dovrebbe guardare con attenzione.  A quell’esperienza dovrebbero guardare anche coloro i quali si affrettano a liquidare la “Coalizione Sociale” come un mostro da abbattere, il velleitario tentativo  di contrapporsi al “Grande Riformista”, lanciato verso grandi successi per “cambiare Verso all’Italia intera”. Poco importa se nel cambiare verso, pare non si vada da nessuna parte, l’importante è far vedere che qualcosa si muove.

Purtroppo non sembra sia lo smembramento dell’impianto delle autonomi locali a risolvere i problemi, anzi in quell’ambito i pasticci sono enormi, servizi cancellati e comuni gravati di compiti insopportabili, considerando i tagli imposti e la scarsa credibilità della politica locale. Sostituire le province, triplicando le unioni dei comuni, aggiungendovi qualche area metropolitana, sembra una medicina peggiore del male. Così come lasciare in piedi un inutile Senato, ed una Camera di ben seicentotrenta deputati, non appare una grande riforma, se non fosse per il fatto che, trattandosi di nominati, daranno stabilità al presidente-ca po  partito di turno che, benevolmente, li ha messi in lista, assegnando una poltrona certa, al di là dei loro meriti.  In fondo, l’unico vero obiettivo delle diverse riforme, appare essere una sensibile riduzione del livello di partecipazione democratica dei cittadini, che si sta traducendo nell’allargamento dell’area del non voto.

Si comprende allora perché l’iniziativa di Landini è avversata perfino dalla CGIL, che mai ha digerito Solidarnosc, figuriamoci adesso che glielo confezionano in casa. In fondo Landini fa quello che il sindacato italiano ha sempre fatto. Pretende, giustamente, di svolgere un ruolo politico. Gli accordi  interconfederali degli anni ‘70, le piattaforme contrattuali dei metalmeccanici, che contrattavano diritti e più stato sociale, ore per lo studio ai lavoratori, ma anche la salute  in fabbrica e fuori da essa, caratterizzavano il sindacato italiano come un soggetto politico, che voleva contare al di là degli ambiti corporativi. Da questo punto di vista numerose sono le stagioni di lotta, anche in Sardegna, che hanno delineato i tratti di questo soggetto. La stessa UIL di Benvenuto, coniò un efficace slogan “UIL il sindacato dei cittadini”

Landini tenta perciò di ritornare, con modalità diverse, nel solco della tradizione sindacale italiana.  Vorrebbe essere un soggetto che non si occupa solo dei suoi aderenti, ma si propone come aggregazione sociale per difendere i soggetti più deboli della società, perfino i lavoratori autonomi, oltre ai precari. In fondo  Landini ha solo raccolto la sfida che Renzi stesso gli ha lanciato, accusando il sindacato italiano di badare solo agli interessi dei lavoratori occupati.  C’è quindi da insospettirsi della repentina risposta del Governo, che vorrebbe affrettarsi a varare una legge, per regolare  la vita dei sindacati, pur nei limiti stabiliti dall’art. 39 della Costituzione.

Indiscutibilmente, però,  appare incerta la piattaforma programmatica di Landini e & C. Non avrebbe respiro, infatti,  se si limitasse ad una opposizione sociale verso il Governo, ma inevitabilmente anche verso tutti i partiti, di maggioranza e di minoranza.  Questi , infatti,  farebbero fronte comune, temendo la trasformazione del “Movimento” in temibile concorrente elettorale. Così come fu per Solidarnosc, è inevitabile che la sua credibilità passi attraverso un progetto di sviluppo economico e sociale e perfino di un nuovo modello di stato, che sappia essere attraente ed efficace.  Insomma se si scende sul terreno della politica, in senso generale, la proposta non può essere timida, nè parziale: in questo caso sarebbe destinata ad una sconfitta  e riposta nella soffitta delle cose vecchie di una certa sinistra.

18-03-2015  Benedetto Sechi

 

 

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