Cari Parlamentari: se volete affrontare la ‘questione sarda’, siamo qui! di Salvatore Cubeddu
L’EDITORIALE DELLA DOMENICA.
Con i 2 Allegati: le MOZIONI, praticamente identiche, presentate alla Camera dei deputati da CAPELLI, (e Dellai, Tabacci, Labriola, Piras, Vargiu, Di Gioia, Lo Monte, Fauttilli» e al Senato da URAS (con ANGIONI , FLORIS , COTTI , SERRA , BAROZZINO , BENCINI , BIGNAMI , BOCCHINO , CAMPANELLA , CASALETTO , CERVELLINI , COMPAGNONE , DE CRISTOFARO , DE PETRIS , DE PIETRO , DE PIN , DIRINDIN , GAMBARO , MUSSINI , PETRAGLIA , RICCHIUTI , ROMANI Maurizio , SCILIPOTI , ISGRO’ , SPOSETTI STEFANO).
La ricerca di unità tra i parlamentari sardi a proposito di “salviamo la Sardegna!” è un messaggio importante. Anche quella della solidarietà di taluni parlamentari italiani. Sappiamo farci anche degli amici, in Italia: basta sapere fino a dove e fino a quando intendano seguirci. Parliamone, anche per sfuggire a notizie meno consolanti: si concentra a Cagliari la sovrintendenza archeologia che a Sassari è stata cancellata, a Nuoro manca l’acqua da dieci giorni, i sindacalisti chimici insistono a chiedere all’Eni e al governo di riempirci di cardi le pianure. Visto che si scrive del maialetto sardo che non sarà protagonista all’Expò, paula majora canamus, parliamo di cose più serie.
«La Sardegna è trattata dal Governo come se fosse un’isola dispersa e tagliata fuori da tutti i piani strategici. L’isola non può essere più una terra di confine abbandonata al suo destino». Parlano i nostri parlamentari, sapendo quanto sia stato finora inutile il loro voto presso il Parlamento. Chiedono che finisca quello per cui la Sardegna esiste per l’Italia: sfruttamento e/o abbandono. Sono i caratteri delle terre colonizzate o, se lo si preferisce, di quelle ‘dipendenti’ e ‘subordinate’.
Con i Piemontesi (per stare agli ultimi tre secoli) e poi con l’Italia si è trattato di una situazione costante. Come ciclica è la reazione unificatrice dei nostri rappresentanti. Nel 1860 Giuseppe Mazzini parlava dei sardi come “ … un Popolo infelice, povero, abbandonato, al quale la fedeltà al Regno non ha fruttato che ingratitudine …”. Voglio solo ricordare che ‘l’Unione Sarda’ nasce nel 1875 come concorde associazione di parlamentari e movimento di popolo per portare a termine la ferrovia e, solo dopo, quel titolo fu esteso al giornale che i promotori di quel movimento fondarono e che ancora conosciamo. L’unione rappresenta il minimo comune denominatore della presenza dei sardi in Parlamento. Necessaria, ma non sufficiente.
Funzionò per ottenere leggi speciali per la Sardegna, allorchè dei parlamentari sardi influenti a Roma utilizzarono il costante malcontento dei loro concittadini per ottenere impegni da parte dello Stato. Francesco Cocco – Ortu inventò le leggi speciali (nel 1897 e nel 1907), con effetti limitati, che mantennero una certa efficacia solo quando lui stesso era ministro: la diga del Tirso rappresenta la realizzazione maggiore di un impegno iniziato trent’anni prima della sua conclusione.
La ‘legge del miliardo’ servì a Mussolini per non raffreddare troppo presto l’illusione dei sardo – fascisti, in modo che l’ulteriore loro ‘rinuncia al Regno’ ne fosse valsa la pena. Le realizzazioni fasciste in Sardegna trovarono in Carbonia il massimo del carico finanziario e della realizzazione dell’‘utopia’ sociale e urbanistica del regime.
I primi sardisti che entrarono nel Parlamento italiano reagirono al modo di grillini d’antan. Umberto Cao, docente universitario, uno dei primi teorici dell’autonomia sarda, eletto nel 1921, pose al congresso di Nuoro (il 28 ottobre 1922) la questione della presenza dei quattro deputati sardisti nel Parlamento italiano: “.. i sei mesi che si passano a Roma non parranno sprecati in confronto all’opera di organizzazione che si potrebbe e dovrebbe fare nella massa dei sardi? I quattro perduti nella folla di più di 500 energumeni – di là del Mediterraneo silenzioso – non possono mettere a profitto quella energia che nel paese certo sarebbe più efficacemente impiegata?”.
Il Piano di Rinascita, nella versione L. 588/1962 e L. 268/1974, ha avuto in gestazione l’elaborazione tradita della prima giunta regionale DC – PSd’A e pure dei suoi antagonisti del Congresso del lavoro del 1950. Anche in questi casi – come nell’ultima parte dell’Ottocento – la protesta organizzata si è intersecata variamente con la vicenda della crisi agraria, con l’emigrazione e con il banditismo.
In questa storia di attese, lotte e delusioni si rileva una costante ed una eccezione. Costante è l’attesa e la pretesa che sia lo Stato a creare posti di lavoro, soprattutto a partire dalla fondazione della Repubblica. L’eccezione è la vicenda degli ex-combattenti e del primo sardismo, quando lo sviluppo della Sardegna viene affidato, insieme alle opere pubbliche, alla diffusione delle cooperative dei pastori e dei contadini, quelle che il fascismo, ormai senza sardismo, fece smobilitare per favorire i caseari romani. Forse si trattò dell’ultimo tentativo autoctono di un ceto produttivo e borghese sardo.
E’ ora? La situazione si ripresenta drammatica, il documento dei parlamentari ne è consapevole. Vorremmo chiedere loro di osservare le impressionanti analogie di quanto loro descrivono con quanto avvenuto nel nostro Ottocento, con il peso delle troppe esperienze negative che ora ci condizionano scoraggiandoci.
“Chiediamo al Governo di intervenire subito per far fronte all’emergenza non con la solita assistenza ma con progetti e investimenti”, chiedono di nuovo oggi i parlamentari sardi. Visto che anche noi intendiamo collaborare con l’interessante nuovo raggruppamento unitario dei parlamentari, ci permettiamo di rivolgere loro alcuni interrogativi collegati alle relative osservazioni.
1. In Sardegna continuano a scorrazzare avventurieri dell’energia di ogni parte e tipo – in diretto contatto con i ministeri romani – che provocano la reazione delle istituzioni locali e delle comunità senza che si riveli una efficace contrapposizione delle istituzioni regionali e della rappresentanza parlamentare. Perché una legge costituzionale (il nuovo Statuto sardo) non sostituisce lo sforzo immane della nostra gente che difende il proprio territorio?
2. Da tempo in Italia non operano le Partecipazioni Statali: com’è che vi aspettate degli investimenti pubblici diretti? L’unica proposta possibile è quella derivata dalla logistica militare per il Salto di Quirra, che il governo ha però destinato altrove. A quali progetti, allora, vi riferite? Al momento siamo a conoscenza dei piani per il Sassarese e per il Sulcis: Matrica e Mossi- Ghisolfi, che occuperebbero il territorio agricolo dopo aver ben remunerato i proprietari dei terreni. Sindacati chimici e politici dei due territori vendono la cosa come fatta. La giunta Pigliaru, sulle canne del Sulcis e sul cardo di Sassari, pare stia solo aspettando che si calmino le acque. E’ immediatamente comprensibile a chiunque viva in Sardegna che tale follia economica e sociale scatenerebbe reazioni assolutamente prevedibili in un materiale evidentemente infiammabile. E’ questo l’obiettivo per il quale dovrebbero combattere i sardi uniti? Per avere negata anche la speranza di una prospera agricoltura e vedere nuovamente devastato il proprio territorio dalla monocoltura del biofuel?
3. Affermate: “E chiediamo anche ai presidenti dei due rami del Parlamento di portare la nostra vertenza nelle sedi più alte, non per avere privilegi ma diritti”. I nostri lo scrivevano anche nell’800, rivolgendosi al Re, con gli esiti che sappiamo. In Sardegna lo si fa costantemente, con i presidenti della Repubblica e con i Papi. Solo la perdita di memoria e l’ingenuità possono spiegare tale ricorrente e umiliante pietismo. Cari amici Parlamentari: ma ci credete sul serio che l’aiuto che chiedete per i casi della Sardegna, quasi sempre reso vano nei 150 anni di ‘italianità’, lo possiamo ottenere con atteggiamenti da ancien regime? Si può capire – ma rattrista – che degli operai disperati si rivolgano alla pietà delle istituzioni, ma non coloro che si sono assunti l’onore e il dovere di rappresentare i diritti del nostro popolo con intelligenza e saggezza, ma pure con senso della dignità. Dunque: se vogliamo farla, questa battaglia, facciamola sul serio, consapevoli di trovarci di fronte a un avversario che da tempo promette e non mantiene, blandisce e castiga, afferma e non realizza. Voi dovreste ben conoscerli, visto che li avete anche in Parlamento. Non c’è più spazio per la delega e per il lamento. Pensiamoci bene: quello che vi proponete è importante e doveroso, vi fa onore e spinge ogni sardo onesto a seguirvi. Candu si pesat su ‘entu est pretzisu bentualare. Poi il vento si spegne. La storia procede. E’ successo troppe volte!
4. La Sardegna è già in fiamme, si levano tanti piccoli fuochi. Non c’è stato mattino della scorsa settimana che, da via Roma a viale Trento, non siano sfilati operai senza lavoro e/o senza stipendio, mamme con bambini e maestri che difendono le scuole, sindaci che gridano per la propri acqua, studenti che continuano a invocare scuole ‘non di classe’. Pigliaru non è da invidiare. Ma non è lì per sostituire i ragionieri e controllare i conti “per conto” di Roma. Non è un presidente di una regione qualsiasi, ha accettato di fare il capo di un Popolo. Oggi siamo costretti a decidere un progetto per la Sardegna del futuro. E’ obbligatorio averla, questa idea. O no?
5. Infine. Cari amici parlamentari: tra qualche mese ricorderemo ‘sa die de sa Sardigna’. Se non abbiamo capito male, chiedete ai Sardi di riconquistare quello spirito, quel coraggio, quel metodo.
“I Sardi dovranno capire che il divenir prosperi, felici, ricchi, non dipende che da loro medesimi, che se non vorranno divenirlo è tutta colpa propria”. L’affermazione è di Federico Fenu, teologo, nella pubblicazione: La Sardegna e la fusione del suo regime col sardo continentale, Cagliari, 1848. Sì, la data è quella giusta: 1848!
15 marzo 2015
MOZIONI PRESENTATE ALLA CAMERA ED AL SENATO DELLA REPUBBLICA
Atto Camera
Mozione 1-00697
presentato da
CAPELLI Roberto
testo di
Martedì 13 gennaio 2015, seduta n. 361
La Camera,
premesso che:
dai dati emersi dalla rilevazione SVIMEZ 2014, continua a registrarsi, per la regione
Sardegna, una tendenza fortemente negativa che si riassume con i seguenti dati: diminuzione del PIL rispetto all’anno 2013 pari al 4.4 per cento, perdendo complessivamente negli anni di crisi dal 2007 oltre il 13 per cento di prodotto, tasso di natalità inferiore di due punti percentuale rispetto al tasso di mortalità, ripresa delle emigrazioni con un saldo migratorio (-1,2 per cento), occupazione diminuita del 7,3 per cento nel biennio 2012-2013, tasso di disoccupazione ufficiale pari al 17,5 con
tasso di disoccupazione giovanile (giovani con meno di 24 anni) pari al 54 per cento, un aumento della percentuale di laureati emigrati (21,6 per cento) e un tasso di dispersione scolastica pari al 25 per cento, percentuale di famiglie povere pari al 24,8 per cento, saldo fortemente negativo nell’immediato ma con una pesante tendenziale conferma per quel che concerne il numero di cessazioni di imprese, procedure fallimentari e aziende avviate alla liquidazione;
i dati suindicati, comuni peraltro alle regioni del centro sud dell’Italia, si inseriscono in una
realtà già gravemente pregiudicata dalla mancata risoluzione di vertenze aperte da troppo tempo con lo Stato italiano;
la situazione in cui versa la regione è sicuramente anche il frutto del mancato pieno utilizzo delle potenzialità dell’autonomia speciale, ma ancor più gravi le responsabilità in capo allo Stato italiano, sempre più patrigno, nella gestione e risoluzione di questioni centrali per l’economia isolana;
in tale contesto rileva che, a fronte del riconoscimento statutario di quote di
compartecipazione alle entrate erariali, spettanti alla regione Sardegna, persistono tuttora difformità di interpretazione in merito ad alcuni tributi erariali e residua un debito statale – di circa un miliardo – da saldare nei confronti della regione sarda, ancora più insopportabile in un momento di forti tagli alla spesa pubblica e tenuto conto che la regione Sardegna attuerà il pareggio di bilancio contribuendo al debito dello Stato per oltre 570 milioni di euro – anni 2013-2014, con una previsione di aumento per il 2015 di 97 milioni di euro. Lo Stato, su questo punto, è inadempiente, come confermato anche
dalla sentenza del 2012 della Corte costituzionale, e sarebbe necessario trovare urgentemente una soluzione condivisa che detti criteri certi di suddivisione delle quote e determini un maggior rafforzamento del ruolo della regione per risolvere, anche per il futuro, la vertenza;
in Sardegna oltre 35.000 ettari di territorio sono sotto vincolo di servitù militare. L’isola
ospita infatti strutture ed infrastrutture al servizio delle forze armate italiane e della Nato: i poligoni missilistici (Perdasdefogu) e per le esercitazioni aeree (Capo Frasca) e a fuoco (Capo Teulada), aeroporti militari (Decimomannu) e depositi. La necessità di una riduzione della presenza militare nell’isola è ormai stata riconosciuta in tutte le sedi. Il consiglio regionale, con ordine del giorno n. 9 del 17 giugno 2014, ha impegnato la giunta regionale a chiedere, tra gli altri punti, un riequilibrio in termini di compensazione economica rispetto ai danni ambientali, sanitari ed economici subiti nel corso degli anni a causa del gravame militare nell’isola e la progressiva diminuzione delle aree soggette a vincoli militari e la dismissione dei poligoni. Tuttavia, anche su questo tema, il Governo appare arroccato sulle sue posizioni, ritenendo prevalenti i supremi interessi nazionali rispetto agli interessi del territorio. Anzi, con il decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, si parificano per le
«aree dove si svolgono esercitazioni militari» le concentrazioni di soglia di contaminazione alle «aree industriali»; determinando, in tal modo, gravi pregiudizi al territorio limitrofo, prevalentemente residenziale, all’ambiente, all’agricoltura; sempre con riferimento alle servitù militari, un discorso a parte merita la vicenda del poligono sperimentale di addestramento interforze (Salto di Quirra) situato a nord di Cagliari che, con i suoi
120 chilometri quadrati di estensione è la più importante base europea per la sperimentazione di nuovi missili, razzi e radio bersagli. Ebbene, nel gennaio del 2011, si apre un’inchiesta che porterà alla luce la terribile scoperta che il poligono è stato, per anni, utilizzato come una vera e propria discarica di materiale militare dove si è smaltito uranio impoverito e torio radioattivo. Quest’ultimo, a seguito delle indagini e dei prelievi effettuati è stato ritrovato in diversi alimenti umani e nelle ossa di alcuni pastori deceduti che, per la loro attività, avevano accesso all’interno del poligono; sempre in merito alle servitù militari, il Ministro della difesa Roberta Pinotti ha imposto, unilateralmente, per altri 5 anni i vincoli su Santo Stefano. Il Presidente Pigliaru ha presentato ricorso contro l’imposizione della servitù militare su Guardia del Moro alla Maddalena e chiesto al Consiglio dei ministri un riesame del decreto impositivo della servitù ma resta il dato di fatto: nonostante la
regione Sardegna, attraverso il suo consiglio regionale e la sua popolazione, siano apertamente contro le servitù militari, nonostante il mancato rinnovo della servitù nei tempi consentiti e nonostante il contenzioso in atto con il comune di La Maddalena, il Governo è andato avanti unilateralmente, anteponendo ancora una volta i supremi interessi della «difesa nazionale» alle esigenze dei territori.
La procedura della reimposizione sarebbe, dal punto di vista amministrativo, improponibile in quanto lesiva dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione introdotti dalla modifica del Titolo V della Costituzione. Anche il Tar della Sardegna, con una pronuncia del 2012, ha stabilito che l’interesse alla difesa non è superiore all’interesse della comunità locale, definendo entrambi di massimo rilievo e di natura sensibile e ricordando che «le servitù hanno carattere temporaneo proprio perché legate all’esigenza di valutare e rivalutare le situazioni, tenendo conto dei cambiamenti che vive il territorio su cui sono calate»;
quando lo Stato italiano avrebbe potuto rimediare almeno in parte di danni subiti da questo
territorio, non ha invece adempiuto ai propri impegni in occasione del G8 della Maddalena, privando, dapprima, l’isola della possibilità di una vetrina a livello internazionale e trasferendo d’ufficio il vertice in altra regione e, successivamente, non dando corso agli impegni presi in ordine alla bonifica del territorio – impedendo conseguentemente la realizzazione dell’accordo del 2009 con imprese private (di recente, a causa di tale inadempimento la protezione civile è stata condannata a pagare alla società aggiudicatrice circa 36 milioni di euro). Attualmente, pertanto, le acque che dovevamo essere
bonificate risultano ancora inquinate e le strutture costruite in stato di abbandono. In generale, il tema dell’ambiente è uno di quelli maggiormente colpiti dall’incuria statale in quanto sono diversi i siti inquinati che dovrebbero essere oggetto di attenzione da parte del Governo italiano, in particolare quei siti industriali insediati dalle note aziende partecipate statali che da Porto Torres al Sulcis, passando per la piana di Ottana nel centro Sardegna, hanno compromesso territori di incomparabile bellezza;
la negazione da parte dello Stato italiano dell’articolo 14 dello statuto della regione Sardegna che prevede la restituzione al patrimonio regionale di tutte le aree demaniali, (comprese quelle costiere), e militari nazionali che non siano più giudicate strategiche ai fini di interesse pubblico, costituisce un’ulteriore freno a possibili opportunità di sviluppo economico, soprattutto in ambito turistico ed ambientale, in vaste aree del territorio sardo;
attenzione che, comunque, il Governo non sembra di avere in merito ad un altro aspetto.
La Sardegna, infatti, potrebbe essere prescelta per lo stoccaggio di scorie nucleari radioattive. La notizia in merito alla destinazione di questi rifiuti, già assunta dal Comitato interministeriale, è stata rimandata al prossimo 3 gennaio in quando, la società pubblica Sogin, si è presa qualche altro giorno di tempo. A nulla sembrano essere servite le prese di posizione dei cittadini sardi che, già nel 2011, con un referendum consultivo avevano detto «no» al nucleare in Sardegna e del governo regionale che, lo scorso settembre con un ordine del giorno, votato all’unanimità, si è impegnato a portare all’attenzione del Governo l’impegno che: «La Sardegna non deve essere inclusa nella lista delle regioni candidate ad ospitare siti nucleari»;
una nuova «servitù» sembra contraddistinguere la Sardegna: quella relativa al regime
carcerario per i detenuti ai sensi dell’articolo 41-bis. A seguito infatti della recente revisione normativa dove si statuisce: «preferibilmente detenuti nelle aree insulari» sembra aver trasformato l’isola nell’area per eccellenza di detenzione di mafiosi, ergastolani e terroristi. Non va dimenticato che, anche di recente, è stata ventilata la demenziale proposta di una possibile riapertura del carcere dell’Asinara. A questo si deve aggiungere la presenza sul territorio sardo di un numero di strutture carcerarie più elevato rispetto alle altre regioni italiane (2.700 posti detentivi per 1 milione e 600 mila abitanti) che determineranno il trasferimento dalla Penisola, in contrasto con il principio della territorializzazione della pena sancita dall’ordinamento penitenziario, di un numero elevato di detenuti. Ancora una volta, gli interessi nazionali prevalgono sugli interessi del territorio e ancora una volta un nuovo peso si aggiunge a quelli già presenti sul territorio sardo;
con riferimento invece alle calamità naturali che hanno colpito la regione nel novembre
2013, lo Stato deve rispettare i propri impegni anche su tale versante tenuto conto che, ad oggi, si registrano ritardi nei tempi e nelle entità dei risarcimenti dovuti. Spiace, peraltro, constatare una diversità di trattamento rispetto ad altre regioni che purtroppo hanno dovuto affrontare la stessa problematica – ad esempio, in Emilia Romagna lo Stato è intervenuto con il decreto-legge n. 74 del 2014 recante disposizioni urgenti per l’Emilia Romagna. A fronte della catastrofe immane che ha colpito duramente il territorio sardo (19 morti, 2.700 sfollati e circa 700 milioni di danni) lo stesso presidente della regione ha pubblicamente ricordato che lo Stato non ha praticamente dato nulla alla causa sarda e che mancherebbero all’appello circa 474 milioni di euro. Anche di recente si è cercato
con emendamenti a diversi provvedimenti all’esame del Parlamento di prevedere l’esclusione dal patto di stabilità di tutti gli stanziamenti per opere e interventi legati all’evento alluvionale, compresi anche i fondi avuti dai comuni in beneficenza, ma il Governo continua ad essere sordo;
di recente poi, l’articolo 38 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2011, rubricato «Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali», ha tolto di fatto agli enti locali – non solo sardi – il potere di veto su ricerca di petrolio e trivellazioni, trasferendo la competenza delle valutazioni di impatto ambientale su attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale dalla regione allo Stato. In Sardegna, l’effetto della norma si avrà sulla zona di Arborea, interessata dal cosiddetto Progetto Eleonora, rispetto al quale gran parte della popolazione è contraria. In un’area di eccezionale interesse naturalistico, a forte vocazione agricola, si vorrebbe autorizzare la trivellazione
per la ricerca di giacimenti di gas naturale;
in Sardegna inoltre, la produzione di energia dall’uso idroelettrico è piuttosto diffusa e
si concentra sui bacini dei fiumi principali, con modeste attività in alcune altre piccole centrali periferiche. La Regione, con legge regionale n. 19 del 2006 è subentrata nella titolarità delle concessioni inerenti l’utilizzo dell’acqua ma la procedura di subentro non è stata completata per gli invasi sfruttati dall’Enel per uso idroelettrico. Enel continua a gestire secondo i firmatari della presente mozione impropriamente le centrali, confidando sull’applicazione del decreto legislativo n. 79 del 1999 che ha prorogato le concessioni fino al 2029. Le parti sembrerebbero vicine ad un accordo per la gestione comune delle acque per evitare un contenzioso dovuto, ancora una volta, ad una contraddizione – almeno lamentata da una delle parti – tra una legge statale e regionale.
Occorre che lo Stato, anche su questo punto riconosca i torti subiti fino ad oggi dalla regione;
la regione per soddisfare esigenze non proprie sta diventando una grande piattaforma di
produzione di energia attraverso la costruzione di impianti fotovoltaici, di impianti eolici, lo scavo di pozzi marini per la ricerca del gas naturale. Ferme restando le responsabilità regionali per la mancanza di un piano energetico, la questione del costo dell’energia resta un problema irrisolto e trascurato che compromette pesantemente lo sviluppo economico dell’isola. Sul punto spicca la questione del riconoscimento del regime di essenzialità per gli impianti di produzione sardi, in particolare per quello di Ottana: infatti, la regione è in attesa della proroga anche per il 2015 e del parere dell’Authorithy per l’energia e il gas. Il riconoscimento dell’essenzialità è fondamentale per permettere ai gestori delle centrali sarde di vedersi riconosciuti da Terna i costi di produzione dell’energia e garantire pertanto alle imprese sarde di poter fruire di prezzi dell’energia più bassi.
Questo avviene in un contesto segnato dalla mancata metanizzazione e da costi per energia altissimi – occorre, infatti, ricordare, che la Sardegna è l’unica regione a non avere il metano (a seguito anche dell’uscita dal progetto Galsi, società sostenuta oltre che dalla regione anche da Enel ed Edison) e che l’energia ha il costo più elevato d’Italia – 15 per cento in più – Paese peraltro in cui l’energia ha già un costo maggiore rispetto al resto d’Europa);
la mobilità è un diritto ancora non pienamente riconosciuto alla nostra regione. Il diritto alla
mobilità, riconosciuto dall’articolo 16 della Costituzione, deve essere inteso come garanzia per ogni cittadino del trasporto indipendentemente dalla realtà geografica nella quale vive. La continuità territoriale deve eliminare gli svantaggi delle aree del Paese dovute a distanze o insularità. L’articolo 53 dello Statuto sardo dispone che la regione sia rappresentata nella elaborazione delle tariffe ferroviarie e nella regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei che possano direttamente interessarla. Fino ad oggi, invece, anche su questo punto si deve registrare un atteggiamento poco rispettoso delle competenze regionali tanto che la Corte costituzionale, in materia di trasporto marittimo, ha riconosciuto recentemente fondato il
ricorso proposto dalla regione volto al riconoscimento del diritto ad una partecipazione effettiva al procedimento in materia di trasporto marittimo. Nelle materie in cui si registra una sovrapposizione di competenze deve essere valorizzato il principio di leale collaborazione; in particolare, ad avviso della Corte, le decisioni assunte in materia dallo Stato toccano interessi indifferenziati della regione ed interferiscono in misura rilevante con scelte rientranti nella competenza della regione, pertanto la regione ha diritto a partecipare ai procedimenti in materia. Occorre inoltre vigilare, per evitare, come
accaduto in passato, la creazione di pericolosi monopoli nei trasporti marittimi (si deve registrare il caso recente di una pericolosa scalata da parte del gruppo Moby all’interno della società CIN).
Si deve, inoltre, ricordare che la regione Sardegna, a seguito dell’accordo stipulato con lo Stato nel 2006 si è accollata interamente le spese sul trasporto pubblico locale che in altre regioni sono finanziate attraverso compartecipazioni a tributi erariali. La provincia di Nuoro, insieme a quella di Matera, è l’unica provincia italiana non servita dalla linea principale a scartamento ordinario delle Ferrovie di Stato essendo coperta solo da un tratto a scartamento ridotto, gestito attualmente dall’Arst, società pubblica regionale e non rientrando nel novero delle grandi opere infrastrutturali dello Stato;
diversi sono inoltre i casi che hanno interessato la regione sul fronte del lavoro. Per quanto
riguarda l’occupazione le responsabilità non sono certamente solo politiche, in quanto, è evidente che la produzione industriale rientra in un contesto di mercato e di competitività nazionale ma, occorre ricordare l’assenza di una strategia nazionale industriale e il fatto che la chiusura di molti stabilimenti è la conseguenza degli alti costi di produzione che paga l’insularità (per tutti si cita il caso del sito industriale di Portovesme, uno dei più grandi poli di metallurgia non ferrosa, gestito fino a poco tempo fa da società private come Alcoa, leader mondiale nella produzione di alluminio, la quale ha comunicato la chiusura dello stabilimento sardo nel 2012);
legato ai problemi dell’insularità e alla crisi occupazionale è la vicenda della compagnia aerea Meridiana (di cui fanno parte oltre la compagnia aerea anche Meridiana Maintenance, società di manutenzione, Geasar spa, società di gestione dell’aeroporto di Olbia). Ad oggi nessuna soluzione sembra palesarsi all’orizzonte e circa 1.600 dipendenti rischiano il licenziamento. Anche in questo caso l’atteggiamento del Governo italiano è apparso poco incisivo: questo è più che mai evidente, secondo i firmatari della presente mozione, nella risposta all’interrogazione 3-01155 che il Ministro Lupi ha dato lo scorso 11 novembre nell’aula di Montecitorio;
anche per quanto riguarda il settore agricoltura non sono state tenute in debita
considerazione le specificità sarde, comuni peraltro anche ad altre regioni. AGEA, ente nazionale, incurante delle procedure stabilite e validate precedentemente, con un atteggiamento vessatorio verso le peculiarità della nostra agricoltura ha dato indicazioni operative ai suoi tecnici rilevatori per una riclassificazione che, ha comportato per la Sardegna e per le altre regioni interessate dalla «Macchia Mediterranea», la perdita di migliaia di ettari di superficie – 280.000 ettari circa di superficie coltivabile e finanziabile precedentemente riconosciuti – con la conseguenza che, per tantissime domande, presentate a valere sul PSR e sulla PAC, oggi, sono riscontrabili gravi anomalie particellari, e, di conseguenza, il rischio reale che centinaia o migliaia di operatori del
settore debbano restituire somme già percepite. Si è richiesto già al Governo – con la risoluzione n. 7-00396 – un intervento presso l’organismo pagatore AGEA affinché sospenda gli effetti del nuovo ciclo di refresh evitando in particolare iscrizioni massive nella banca dati debitori di aziende che invece presentano titoli e requisiti per l’accesso ai premi comunitari;
altro problema è quello relativo al dimensionamento scolastico che rappresenta forse più di ogni altro come le decisioni prese dall’alto poco si adattino a territori con caratteristiche morfologiche del tutto particolari come è la Sardegna. Anche se dalle aule dei tribunali continuano ad arrivare espressioni negative contro la legge che ha disposto le cancellazioni e gli accorpamenti degli istituti – il decreto-legge n. 98 del 2011 ha fissato l’obbligo di fusione degli istituti comprensivi delle scuole dell’infanzia, elementari e medie con meno di 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche – tale provvedimento comunque ha di fatto causato la cancellazione di oltre 1.700 scuole. Seppur reputato «costituzionalmente illegittimo» dalla Consulta con la sentenza n. 147 del 2012, occorre in questa sede rilevare come la disposizione non solo contrasta con ogni criterio didattico-pedagogico comportando la creazione di istituti scolastici abnormi, di difficile gestione e governabilità, ma ha effetti ancora più negativi in un territorio come quello sardo, costringendo a gravosi spostamenti intere famiglie e rappresentando un ulteriore deterrente alla prosecuzione del cammino scolastico degli studenti, in una regione, come in precedenza evidenziato, con il più alto tasso di dispersione
scolastica;
infine, a fronte degli oneri e delle servitù gravanti sul territorio sardo, lo Stato italiano continua a dismettere presidi importanti per il territorio (caserme, uffici dei giudici di pace, tribunali, uffici della motorizzazione civile, sedi della Banca d’Italia), proponendo accorpamenti che ancora una volta non tengono conto delle specificità del territorio isolano, costituito da aree con scarsa densità di popolazione e da collegamenti molto spesso difficili;
le considerazioni sopra esposte evidenziano la persistente prevalenza dell’interesse
nazionale rispetto a quello territoriale segnando profondamente il modo di essere di una regione e, in taluni casi, rischia di compromettere definitivamente la sua vocazione naturale, turistica e culturale;
sussiste una «specificità» Sardegna dettata anche da un riconoscimento costituzionalmente garantito in merito alla «specialità» che deve essere affrontata autonomamente ed inserita con urgenza nell’Agenda dei lavori dal Governo in modo tale da risolvere definitivamente problematiche che durano da troppo tempo, anche attraverso un ripensamento delle attuali competenze,
impegna il Governo:
nelle questioni sopra richiamate, ad attivarsi concretamente al fine di superare le criticità
esistenti, tenendo nel debito conto gli interessi territoriali in base anche al principio della leale collaborazione tra enti e comunque nel pieno rispetto degli interessi di cui è portatrice la regione autonoma della Sardegna;
a prestare un’attenzione «particolare» in termini di assunzione di responsabilità e di
riconoscimento delle specificità della realtà e delle problematiche della Sardegna affinché possano essere superate ed orientate ad una valorizzazione le vocazioni principali dell’isola stessa;
ad inserire nell’Agenda dei lavori del Governo la questione Sardegna, anche attraverso
l’istituzione di uno specifico tavolo di lavoro congiunto Stato-regione per l’esame urgente delle vertenze ancora aperte e per definire, in particolare, tutte le iniziative utili a garantire la loro
risoluzione in tempi certi.
(1-00697) «Capelli, Dellai, Tabacci, Labriola, Piras, Vargiu, Di Gioia, Lo Monte, Fauttilli».
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13/3/2015 senato.it Legislatura
17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 100378
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Sindisp&leg=17&id=00902315&stampa=si&toc=no 1/5
Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 100378
Atto n. 100378
Pubblicato il 4 febbraio 2015, nella seduta n. 386
URAS , ANGIONI , FLORIS , COTTI , SERRA , BAROZZINO , BENCINI , BIGNAMI , BOCCHINO ,
CAMPANELLA , CASALETTO , CERVELLINI , COMPAGNONE , DE CRISTOFARO , DE PETRIS , DE
PIETRO , DE PIN , DIRINDIN , GAMBARO , MUSSINI , PETRAGLIA , RICCHIUTI , ROMANI Maurizio ,
SCILIPOTI ISGRO’ , SPOSETTI , STEFANO
Il Senato,
premesso che:
la crisi economica e sociale che attraversa la Sardegna ha dimensioni di particolare intollerabile gravità. I dati della rilevazione Svimez 2014 continuano a rappresentare una realtà fortemente negativa che si riassume nella diminuzione del PIL rispetto al 2013 pari al 4,4 per cento, con una perdita complessiva, negli anni di crisi dal 2007, di oltre 13 punti di prodotto lordo, tasso di natalità inferiore di 2 punti percentuale rispetto al tasso di mortalità, imponente fenomeno di spopolamento delle aree interne, ripresa delle emigrazioni con un saldo migratorio (con un calo dell’1,2 per cento), occupazione diminuita del 7,3 per cento nel biennio 20122013, tasso di disoccupazione oltre il 19 per cento con tasso di disoccupazione giovanile (giovani con meno di 24 anni) pari o superiore al 54 per cento, un aumento della percentuale di laureati emigrati (21,6 per cento) e un tasso di dispersione scolastica pari al 27 per cento, famiglie povere pari al 24,8 per cento, saldo fortemente negativo del numero di cessazioni di imprese, procedure fallimentari
e aziende avviate alla liquidazione;
i predetti dati, comuni peraltro alle regioni del Centro Sud dell’Italia, si inseriscono in una realtà già gravemente pregiudicata dalla mancata risoluzione di vertenze aperte con lo Stato da troppo tempo;
la situazione in cui versa la regione è sicuramente anche il frutto del mancato pieno utilizzo delle potenzialità dell’autonomia speciale, ma ancor più gravi sono le responsabilità in capo allo Stato nella gestione e risoluzione di questioni centrali per l’economia isolana;
in tale contesto rileva che, a fronte del riconoscimento statutario di quote di compartecipazione alle entrate erariali, spettanti alla Regione Sardegna, persistono tuttora difformità di interpretazione in merito ad alcuni tributi erariali e residua un debito statale (di circa un miliardo) da saldare nei confronti della Regione sarda, ancora più insopportabile in un momento di forti tagli alla spesa pubblica e tenuto conto che la stessa Regione attuerà il pareggio di bilancio contribuendo al debito dello Stato per oltre 570 milioni di euro (anni 20132014), con una previsione di aumento per il 2015 di 97 milioni di euro. Lo Stato, su questo punto, è inadempiente, come confermato anche dalla sentenza del 2012 della Corte costituzionale, e sarebbe necessario trovare urgentemente una soluzione condivisa che detti criteri certi di suddivisione delle quote e determini un maggior rafforzamento del ruolo della Regione;
in Sardegna oltre 35.000 ettari di territorio sono sotto vincolo di servitù militare. L’isola ospita infatti strutture ed infrastrutture al servizio delle forze armate italiane e della Nato: i poligoni missilistici (Perdasdefogu) e per le esercitazioni aeree (capo Frasca) e a fuoco (capo Teulada), aeroporti militari (Decimomannu) e depositi di armamenti e munizionamenti. La necessità di una riduzione della presenza militare nell’isola è ormai stata riconosciuta in tutte le sedi. Il Consiglio regionale, con ordine del giorno n. 9 del 17 giugno 2014, ha impegnato la Giunta regionale a chiedere, tra gli altri punti, un riequilibrio economico finanziario finalizzato alla riduzione e bonifica dei danni sanitari, ambientali, sociali ed economico produttivi subiti nel corso degli anni a causa del gravame militare dall’isola e la progressiva diminuzione delle aree soggette a vincoli militari e la dismissione dei poligoni. Tali temi dovranno essere trattati in uno specifico “tavolo StatoRegione”
che si è recentemente aperto. Tuttavia, anche su questo tema, il Governo appare
arroccato sulle sue posizioni, che pesano negativamente rispetto alle esigenze rappresentate dal territorio. Anzi, con il decreto legge n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014, si parificano per le “aree dove si svolgono esercitazioni militari” le concentrazioni di soglia di contaminazione alle “aree industriali”, determinando, in tal modo, gravi pregiudizi alle aree limitrofe con destinazione prevalentemente residenziale, all’ambiente e all’agricoltura dell’intera zona;
sempre con riferimento alle servitù militari, attenzione particolare merita la vicenda del poligono sperimentale di addestramento interforze “Salto di Quirra” situato a nord di Cagliari che, con i suoi 120 chilometri quadrati di estensione, è la più importante base europea per la sperimentazione di nuovi missili, razzi e radio bersagli. Ebbene, nel gennaio 2011, si apre un’inchiesta che porterà alla luce la terribile scoperta che il poligono è stato, per anni, utilizzato come una vera e propria discarica di materiale militare dove si è smaltito uranio impoverito e torio radioattivo. Quest’ultimo, a seguito delle indagini e dei prelievi effettuati è stato ritrovato in diversi alimenti umani e nelle ossa di alcuni pastori deceduti che, per la loro attività, avevano accesso all’interno del poligono;
sempre in merito alle servitù militari, il Ministero della difesa ha imposto, unilateralmente, per altri 5 anni i vincoli su Santo Stefano. La presidenza della Regione ha presentato ricorso contro l’imposizione della servitù militare su “Guardia del moro” a La Maddalena e chiesto al Consiglio dei ministri un riesame del decreto impositivo della servitù ma resta il dato di fatto: nonostante il Consiglio regionale della Sardegna e la sua popolazione si siano espressi più volte apertamente contro le invasive servitù militari, nonostante il mancato rinnovo della servitù nei tempi consentiti e nonostante il contenzioso in atto con il Comune di La Maddalena, il Governo è andato avanti unilateralmente, anteponendo ancora una volta gli interessi dello Stato in materia di “difesa nazionale” alle esigenze dei territori. La procedura della reimposizione sarebbe, dal punto di vista amministrativo, improponibile in quanto lesiva dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione
introdotti dalla modifica del Titolo V della Costituzione. Anche il Tar della Sardegna, con una pronuncia del 2012, ha stabilito che l’interesse alla difesa non è superiore all’interesse della comunità locale, definendo entrambi di massimo rilievo e di natura sensibile e ricordando che “le servitù hanno carattere temporaneo proprio perché legate all’esigenza di valutare e rivalutare le situazioni, tenendo conto dei cambiamenti che vive il territorio su cui sono calate”;
quando lo Stato italiano avrebbe potuto rimediare almeno in parte per i danni subiti dal territorio, si è preferito invece non adempiere impegni assunti in occasione del G8 a La Maddalena, privando, dapprima, della possibilità di ospitare tale evento internazionale e trasferendo d’ufficio il vertice in un’altra regione e, successivamente, non dando corso agli impegni presi in ordine alla bonifica del territorio, impedendo conseguentemente la realizzazione dell’accordo del 2009 con imprese private (di recente, a causa di tale inadempimento la Protezione civile è stata condannata a pagare alla società aggiudicatrice circa 36 milioni di euro). Attualmente, pertanto, le acque che dovevano essere bonificate risultano ancora inquinate e le strutture costruite in stato di abbandono. In generale, il tema dell’ambiente è uno di quelli maggiormente colpiti dall’incuria statale in quanto sono diversi i siti inquinati che dovrebbero essere oggetto di attenzione da parte del Governo italiano, in particolare quei siti industriali insediati dalle note aziende partecipate statali che da Portotorres al Sulcis, passando per la piana di Ottana nel centro Sardegna, hanno compromesso territori di incomparabile bellezza;
la mancata coerente applicazione, da parte dello Stato italiano, dell’art. 14 dello statuto della Regione Sardegna (legge costituzionale n. 3 del 1948), che prevede la successione della Regione nella proprietà del patrimonio immobiliare che non sia più utilizzato per le originarie destinazioni (militari e non), costituisce un ulteriore freno a possibili opportunità di sviluppo economico, soprattutto in ambito sociale, agricolo o ambientale produttivo e turistico, in vaste aree del territorio sardo;
il Governo sembra avere un atteggiamento negativamente incerto in merito all’urgente decisione che porti ad escludere, in via definitiva, l’individuazione di siti, in Sardegna, per lo stoccaggio di scorie nucleari radioattive. Preoccupa la scarsa considerazione per le prese di posizione dei sardi che, già nel 2011, con un referendum consultivo avevano detto “no” al nucleare in Sardegna, e dell’analoga posizione della Regione che, nel mese di settembre 2014 con un ordine del giorno, votato all’unanimità in Consiglio regionale, si è impegnata a portare all’attenzione del Governo la necessità che “La Sardegna non deve essere inclusa nella lista delle regioni candidate ad ospitare siti nucleari”;
una nuova “servitù” sembra contraddistinguere la Sardegna: quella relativa al regime carcerario per i detenuti ai sensi dell’art. 41bis dell’ordinamento penitenziario, di cui alla legge n. 354 del 1975. A seguito infatti della recente revisione normativa dove si statuisce: “collocati preferibilmente in aree insulari” (comma 2quater) di fatto trasforma l’isola nella principale destinazione indicata dal Ministero della giustizia per la detenzione di condannati per reati di criminalità organizzata e di fenomeni terroristici. Non va dimenticato che, anche di recente, è stata ventilata la proposta inaccettabile della riapertura del carcere dell’Asinara (area già destinata a parco). A questo si deve aggiungere la presenza sul territorio sardo di un numero di strutture carcerarie più elevato rispetto alle altre regioni italiane (2.700 posti detentivi per 1.600.000 abitanti) che determineranno il trasferimento dalla penisola, in contrasto con il principio della territorializzazione della pena sancita dall’ordinamento penitenziario. Ancora una
volta, gli interessi del resto del Paese prevalgono su quelli del territorio sardo e ancora una volta un nuovo peso si aggiunge a quelli già presenti a carico dell’isola;
con riferimento invece alle calamità naturali che hanno colpito la regione nel novembre 2013, lo Stato deve rispettare i propri impegni anche su tale versante tenuto conto che, ad oggi, si registrano ritardi nei tempi e nelle entità dei risarcimenti dovuti e comunque necessari. Spiace, peraltro, constatare una diversità di trattamento rispetto ad altre Regioni che purtroppo hanno dovuto affrontare la stessa problematica, ad esempio si veda l’EmiliaRomagna, per la quale è stato adottato il decreto legge n. 74 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 93 del 2014. A fronte della catastrofe immane che ha colpito duramente il territorio sardo (19 morti, 2.700 sfollati e circa 700 milioni di danni) lo stesso presidente della Regione ha pubblicamente ricordato che lo Stato non ha praticamente assegnato nessuna risorsa e che, pertanto, niente è stato stanziato rispetto agli interventi per ricostruzione o risarcimenti, stimati per circa 474 milioni di euro. Anche di recente si è cercato con emendamenti a diversi provvedimenti all’esame del
Parlamento di prevedere l’esclusione dal patto di stabilità di tutti gli stanziamenti per opere e interventi legati all’evento alluvionale, compresi anche i fondi avuti dai Comuni in beneficenza. In proposito si è registrata la grave, ottusa e irresponsabile opposizione del Governo;
di recente poi, il decreto legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, che all’art. 38, rubricato “Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali”, ha tolto di fatto agli enti locali (non solo sardi) il potere di decidere su ricerca di petrolio e trivellazioni, trasferendo la competenza delle valutazioni di impatto ambientale su attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale dalla Regione allo Stato. In Sardegna, l’effetto della normativa si avrà sulla zona di Arborea, interessata dal progetto “Eleonora”, rispetto al quale gran parte della popolazione si è manifestata contraria. In un’area di eccezionale interesse naturalistico, a forte vocazione agricola, si vorrebbe autorizzare la trivellazione per la ricerca di giacimenti di gas naturale;
in Sardegna inoltre, la produzione di energia dall’uso idroelettrico è piuttosto diffusa e si
concentra sui bacini dei fiumi principali, con modeste attività in alcune altre piccole centrali periferiche. La Regione, con legge regionale n. 19 del 2006, è subentrata nella titolarità delle concessioni inerenti all’utilizzo dell’acqua ma la procedura di subentro non è stata completata per gli invasi sfruttati dall’Enel per uso idroelettrico. Enel continua a gestire impropriamente le centrali, confidando sull’applicazione del decreto legislativo n. 79 del 1999 che ha prorogato le concessioni fino al 2029. Le parti sembrerebbero vicine ad un accordo per la gestione comune delle acque per evitare un contenzioso dovuto, ancora una volta, ad una contraddizione (almeno lamentata da una delle parti) tra una legge statale e regionale. Occorre che lo Stato, anche su questo punto, riconosca i danni economici subiti fino ad oggi dalla Regione;
la regione per soddisfare esigenze non proprie sta diventando una grande piattaforma di
produzione di energia attraverso la costruzione di impianti fotovoltaici ed eolici e lo scavo di pozzi marini per la ricerca del gas naturale. Ferme restando le responsabilità regionali per la mancanza di un piano energetico, la questione del costo dell’energia resta un problema irrisolto e trascurato che compromette pesantemente lo sviluppo economico dell’isola. Sul punto spicca la questione del riconoscimento del regime di essenzialità per gli impianti di produzione sardi, in particolare per quello di Ottana: infatti, la Regione è in attesa della proroga anche per il 2015 e del parere dell’Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico. Il riconoscimento dell’essenzialità è fondamentale per permettere ai gestori delle centrali sarde di vedersi riconosciuti da Terna i costi di produzione dell’energia e garantire pertanto alle imprese sarde di fruire di prezzi dell’energia più bassi. Questo avviene in un contesto segnato dalla mancata metanizzazione e da costi per energia altissimi. Occorre, infatti, ricordare, che la Sardegna è l’unica regione a non avere il metano (a seguito anche dell’uscita dal progetto Galsi, società sostenuta oltre che dalla Regione anche da Enel ed Edison) e che l’energia ha il costo più elevato d’Italia (15 per cento in più) in una realtà nazionale in cui l’energia ha già un costo maggiore rispetto al resto d’Europa. In merito a questo tema rimane attualissima la ricerca di una soluzione
a sostegno dell’industria siderurgica energivora (filiera dell’alluminio) per la quale da tempo è in corso un’inesauribile trattativa tra Regione, Stato e Unione europea sulle “compensazioni dell’interrompibilità” in tutte le sue possibili declinazioni;
la mobilità è un diritto ancora non pienamente riconosciuto alla regione. Il diritto alla mobilità, riconosciuto dall’articolo 16 della Costituzione, deve essere inteso come garanzia per ogni cittadino del trasporto indipendentemente dalla realtà geografica nella quale vive. La continuità territoriale deve eliminare gli svantaggi delle aree del Paese dovute a distanze o insularità.
L’articolo 53 dello statuto sardo dispone che la Regione sia rappresentata nell’elaborazione delle tariffe ferroviarie e nella regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei che possano direttamente interessarla. Fino ad oggi, invece, anche su questo punto si deve registrare un atteggiamento poco rispettoso delle competenze regionali tanto che la Corte costituzionale, in materia di trasporto marittimo, ha riconosciuto recentemente fondato il ricorso proposto dalla Regione volto al riconoscimento del diritto ad una partecipazione effettiva al procedimento in materia di trasporto marittimo. Nelle materie in cui si registra una sovrapposizione di competenze deve essere valorizzato il principio di leale collaborazione; in particolare, ad avviso della Corte, le decisioni assunte in materia dallo Stato toccano interessi indifferenziati della Regione ed interferiscono in misura rilevante con scelte rientranti nella competenza della Regione: pertanto la Regione ha diritto a partecipare ai procedimenti in materia. Occorre inoltre vigilare, per evitare, come accaduto in passato, la creazione di pericolosi
monopoli nei trasporti marittimi (fenomeni ricorrenti soprattutto nel bacino del Mediterraneo). Si deve, inoltre, ricordare che la Regione sarda, a seguito dell’accordo stipulato con lo Stato nel 2006, si è accollata interamente le spese sul trasporto pubblico locale che in altre regioni sono finanziate attraverso compartecipazioni a tributi erariali. La Provincia di Nuoro, insieme a quella di Matera, è l’unica provincia italiana non servita dalla linea principale a scartamento ordinario delle Ferrovie di Stato essendo coperta solo da un tratto a scartamento ridotto, gestito attualmente dall’Arst, società pubblica regionale, e non rientrando nel novero delle grandi opere infrastrutturali dello Stato;
diverse sono inoltre le vertenze sul fronte dell’occupazione, soprattutto nel settore industriale, in un contesto di mercato e di competitività regionale e nazionale in particolare sofferenza, su cui pesa l’assenza di una strategia nazionale industriale e, nel caso sardo, anche la condizione di svantaggio rappresentata dai costi dovuti alla condizione di insularità (per tutti si cita il caso del sito industriale di Portovesme, uno dei più grandi poli di metallurgia non ferrosa, gestito fino a poco tempo fa da società private come Alcoa, leader mondiale nella produzione di alluminio, la quale ha comunicato la chiusura dello stabilimento sardo nel 2012);
legata ai problemi dell’insularità e alla crisi occupazionale è la vicenda della compagnia aerea Meridiana (di cui fanno parte, oltre alla compagnia aerea, anche Meridiana maintenance, società di manutenzione, e Geasar SpA, società di gestione dell’aeroporto di Olbia). Ad oggi nessuna soluzione sembra palesarsi all’orizzonte e circa 1.600 dipendenti rischiano il licenziamento. Anche in questo caso l’atteggiamento del Governo italiano è apparso poco incisivo: questo è più che mai evidente nella risposta all’interrogazione 301155 che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Lupi ha dato il 12 novembre 2014 nell’aula della Camera;
anche per quanto riguarda il settore dell’agricoltura non sono state tenute in debita
considerazione le specificità sarde, comuni peraltro anche ad altre regioni. AGEA, ente nazionale, incurante delle procedure stabilite e validate precedentemente, con un atteggiamento vessatorio verso le peculiarità dell’agricoltura sarda ha dato indicazioni operative ai suoi tecnici rilevatori per una riclassificazione che ha comportato per la Sardegna e per le altre regioni interessate dalla “macchia mediterranea” la perdita di migliaia di ettari di superficie (280.000 ettari circa di superficie coltivabile e finanziabile precedentemente riconosciuti), con la conseguenza che, per tantissime domande, presentate a valere sui programmi di sviluppo rurale e sulla politica agricola comune, oggi, sono riscontrabili gravi anomalie particellari, e, di conseguenza, il rischio reale che
centinaia o migliaia di operatori del settore debbano restituire somme già percepite. Si è richiesto già al Governo (con la risoluzione 700396 del 23 giugno 2014 in XII Commissione permanente della Camera) un intervento presso l’organismo pagatore AGEA affinché sospenda gli effetti del nuovo ciclo di refresh, evitando, in particolare, iscrizioni massive nella banca dati dei debitori di aziende che invece presentano titoli e requisiti per l’accesso ai premi comunitari;
altro problema è quello relativo al dimensionamento scolastico che rappresenta forse più di ogni altro come le decisioni prese dall’alto poco si adattino a territori con caratteristiche morfologiche del tutto particolari come è la Sardegna. Anche se dalle aule dei tribunali continuano ad arrivare espressioni negative contro la legge che ha disposto le cancellazioni e gli accorpamenti degli istituti (l’articolo 19, comma 4, del decretolegge
n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 183 del 2011, ha fissato l’obbligo di fusione degli istituti comprensivi delle scuole dell’infanzia, elementari e medie con meno di 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche), tale provvedimento comunque ha di fatto causato la cancellazione di oltre 1.700
scuole. Seppur reputato “costituzionalmente illegittimo” dalla Consulta con la sentenza n. 147 del 2012, occorre in questa sede rilevare come la disposizione non solo contrasta con ogni criterio didattico pedagogico comportando la creazione di istituti scolastici abnormi, di difficile gestione e governabilità, ma ha effetti ancora più negativi in un territorio come quello sardo, costringendo a gravosi spostamenti intere famiglie e rappresentando un ulteriore deterrente alla prosecuzione del cammino scolastico degli studenti, in una regione con il più alto tasso di dispersione scolastica;
infine, a fronte degli oneri e delle servitù gravanti sul territorio sardo, lo Stato italiano continua a dismettere presidi importanti per il territorio (caserme, uffici dei giudici di pace, tribunali, uffici della motorizzazione civile, sedi della Banca d’Italia), proponendo accorpamenti che ancora una volta non tengono conto delle specificità del territorio isolano, costituito da aree con scarsa densità di popolazione e da collegamenti molto spesso difficili,
impegna il Governo:
1) ad attivarsi concretamente al fine di superare violazioni di legge, ostacoli procedurali, ritardi attuativi e ogni altra criticità esistente, tenendo nel debito conto gli interessi territoriali in base anche al principio della leale collaborazione tra Stato, Regione e sistema delle autonomie locali sarde;
2) a provvedere, con la necessaria responsabilità istituzionale, al pieno riconoscimento dei
contenuti dell’ordinamento autonomistico di cui allo statuto speciale, direttamente connesso, tra l’altro, alle condizioni di insularità e alla peculiare identità culturale e linguistica della Sardegna;
3) a provvedere, per questo motivo, alla ratifica della “carta europea delle lingue minoritarie e regionali”, riconoscendo alla “lingua sarda” e alla relativa comunità linguistica i più alti livelli di tutela previsti dalla “carta”, dalla normativa nazionale e dal diritto internazionale;
4) a promuovere ogni necessaria iniziativa istituzionale, legislativa, economicofinanziaria
e organizzativa finalizzate allo sviluppo locale e alla crescita dell’occupazione connessi alla più efficace valorizzazione delle principali vocazioni produttive dell’isola;
5) ad inserire, nell’agenda dei lavori del Governo, la “questione sarda” come “questione
nazionale”, anche attraverso l’istituzione di un specifico tavolo di lavoro istituzionale StatoRegione, all’occorrenza partecipato anche dalle rappresentanze delle autonomie locali e forze sociali sarde, per l’esame urgente del complesso delle vertenze aperte, sul fronte istituzionale, finanziario, economico produttivo e sociale, al fine di una loro progressiva e celere risoluzione.
By Franco Meloni, dir Aladinews, 15 marzo 2015 @ 21:18
Ecco il testo della mozione, sul sito della Camera dei deputati: http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.Asp?idAtto=30387&stile=7&highLight=1&paroleContenute=%27MOZIONE%27 .
L’iniziativa non appare di grande respiro, tutta giocata all’interno del Palazzo, destinata quindi a probabile possibile sparizione nel tran tran istituzionale. Tuttavia va apprezzata se inserita nel contesto di un movimento generale, in grande parte da costruire/ricostituire, come peraltro esorta a fare Salvatore nel suo articolo. La Fondazione responsabilmente (anche disperatamente) si muove come elemento catalizzatore di una forte iniziativa di vertenzialità che passa in primo luogo per la consapevolezza dei sardi (quanti più possibile si riesca a coinvolgere) dentro e fuori le istituzioni. Quando parliamo di istituzioni non dobbiamo intendere solo quelle rappresentative ma anche le altre o comunque il mondo delle organizzazioni (l’Università, la Chiesa, le Autonomie, la Scuola, li sindacati dei lavoratori e le associazioni degli imprenditori, l’associazionismo professionale e del terzo settore e così via). A prestu!
By cosimo, 15 marzo 2015 @ 15:23
cantadore poetas de sardigna benides bois a cantare
custu poppulu tocada a ischidare
sunis sos fizos a tropas a emmigrare
campanas sonades a ritoccu
ca est mancande fina pisttocu
ma sonade sonade fortemente
ha ischidare tuttu custa zente
non restes ne goi ne gai
si non nos movimos non bi passada mai
ca custa crisi niedda tocada
ha chela mandare meda indeda