Alla ricerca della storia perduta: Romanzo storico, no grazie? di Lucia Sancassano

L’articolo è stato pubblicato nel sito di sardegnasoprattutto l’11 febbraio 2015.

La Relazione è stata presentata all’Iniziativa “Alla ricerca della storia perduta”: La trilogia giudicale di Vindice Lecis, organizzata dalla Presidenza FAI Sardegna con la Delegazione ed il FAI Giovani di Cagliari Lunedì 9 febbraio 2015 nella Sala Convegni Fondazione Banco di Sardegna di Cagliari. Il secondo appuntamento è previsto Lunedì 2 marzo alle 16 nella stessa Sala Convegni (NdR).

Ringrazio e saluto la Presidente insieme a tutti i presenti. Quest’invito, naturalmente, mi onora. Vorrei aprire il mio intervento, che in questo contesto ha più che altro la funzione di – mi si conceda la metafora sciistica -“apripista” per successive riflessioni più articolate, riprendendo il titolo dell’incontro odierno, con l’intento di evidenziarne in particolare un aspetto. Di là dalla suggestiva eco proustiana e molto altro, esso lascia trasparire precisi orientamenti programmatici e metodologici, situabili tutti nel quadro di una didattica innovativa., più che mai necessaria – credo – in questa fase della scuola italiana e in generale in questo nostro tempo. Vorrei quindi proporVi, più che un discorso chiuso, una serie di interrogativi aperti, consapevole della presenza in sala di molti esperti, del cui fondamentale apporto spero ci potremo avvalere nel dibattito.

Alla ricerca della storia perduta”: quali scenari apre questo titolo? O più concretamente, qual è lo scopo di un incontro sulla “storia perduta”? E ancora e soprattutto: quale storia perduta? Sono domande che la Presidente ha in parte già chiarito, ma mi soffermerei in primo luogo sulla parola “storia”, tanto centrale nel nostro discorso quanto semanticamente poliedrica. Quale storia? Storia come History/res gestae, fatti, o storia come Story/logos, mythos, narrazione? Già questa prima differenziazione, problematicamente contestata nel dibattito postmoderno, lascia intravedere una polarità di fondo che variamente riaffiora nel tempo. Ritroviamo questa polarità almeno dal secolo XVIII nel processo di emancipazione dalla letteratura da parte della nascente storiografia, appunto impegnata in un’autodefinizione scientifica autonoma; la ritroviamo via via, attraverso von Ranke e poi Droysen, nella discussione sulle modalità di scrittura della storia.

Per certi versi, ritroviamo questa medesima distinzione di fondo nella stessa riflessione manzoniana su vero e romanzesco. D’altra parte, l’ambiguità semantica dell’italiano “storia”, per i nostri intenti specificamente didattici, non è un punto di debolezza, ma di forza. A scuola, infatti, oggi più che mai credo si possa “fare storia” con le storie. Cioè raccontando. Karl Reinhardt, nel 1948, scriveva “la storia esiste a partire da Erodoto” (K. Reinhardt, Herodotus Persergeschichte, Von Werken und Formen, cit. H. Ahrend, Essays in Understanding 1930-54); sono le sue storie a trasformare in storia il passato greco.

Insomma, “la storia/Story rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi/History”, osserva Adriana Cavarero, citando Hannah Arendt (A. Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione, Feltrinelli Milano 1997 p. 8); banalizzando, storia e racconto sono realtà intrinsecamente connesse che, nella realtà viva della classe, possono generare esperienze di apprendimento uniche, irripetibili nel vissuto – non solo scolastico – degli allievi.

Non stupisce, su questo sfondo, che proprio lo Storytelling rappresenti una delle metodologie didattiche attualmente più promettenti. Il problema, nel nostro campo specifico, sarà piuttosto lo scegliere storie adeguate alla storia, e ancora più precisamente il come sceglierle, quando, dove, cioè per quali ordini di scuole, classi, curricula. Ma questo tema sarà oggetto del dibattito che scaturirà in primis dai racconti delle sperimentazioni attuate dalle Colleghe e dai Colleghi presenti, i quali hanno di certo accumulato un sapere che sarà bello condividere.

Torniamo ancora per un secondo al titolo del nostro incontro, per soffermare l’attenzione sull’espressione “alla ricerca”. Queste parole non solo manifestano una evidente funzione programmatica e pragmatica nel nostro contesto, ma anche ne svelano la dimensione più profonda. Se, da un lato, in questa sede si sta per creare una piattaforma di dialogo sui temi della storia che vedrà coinvolti soggetti attivi in diverse realtà culturali e professionali, non solo nella scuola, dall’altro lato, l’espressione “alla ricerca” stigmatizza un atteggiamento mentale, un modo di porsi nei confronti del reale caratterizzato dai principi della historia stessa. Ricerca dunque delle fonti – il vero storico manzoniano -, ma anche ricerca di trasparenza, consapevolezza, senso.

Negli occhi dei nostri alunni lampeggia una pressante richiesta di senso. Non possiamo correre il rischio che si spenga. Raccontare la storia con le storie può essere anche questo: tenere viva una prospettiva di senso che non si identifica con un quadro statico di risposte, ma piuttosto con un orizzonte di domande. Aperte, sempre nuove. L’espressione “alla ricerca” è dinamica, ha in sé la potenza del movimento, dell’autopsia tucididea, della “discrezione” guicciardiniana, è l’antidoto contro ogni “ipse dixit”, uccide la noia. In classe come nella vita. Ma se nella vita la noia può essere frutto di una scelta adulta, in classe – lo sappiamo bene – la noia è il pericolo mortale.

Lasciamo al dibattito finale questa considerazione, forse un poco provocatoria, per delineare finalmente le coordinate del nostro discorso: quale storia perduta? Indubbiamente la storia locale, spesso percepita come “minore” o destinata solo ai cultori della materia, di certo soffocata dalla mole dei “programmi”. E’ più urgente (utile?) conoscere la rivoluzione francese di sa die de sa Sardigna. E’ vero? Sì, ma. Se è indispensabile scegliere, purtroppo non sembrano esistere molte alternative praticabili. Ma forse, anche tenendo conto delle ultime linee guida e indicazioni nazionali, nei diversi ordini di scuola, con le debite distinzioni e precauzioni, uno spazio esiste.

Si tratta di cercarlo e di trovarlo. Preciso che non sono, attualmente, docente di storia; la mia esperienza in questo ambito è circoscritta ai primi anni di insegnamento in Sardegna, più di un decennio fa, in alcune scuole medie della Provincia. D’altra parte, è stata proprio quella esperienza, attraverso un progetto nazionale del Fai, a indirizzare il mio sguardo verso la “sarda bellezza” e verso la storia della Sardegna, un’Isola che all’epoca del mio trasferimento conoscevo solo in chiave culturale-turistica.

Se corro ora il rischio di annoiarvi con un ricordo breve – non la storia, già di per sé romanzesca! – del mio primo anno a Sinnai, nell’a.s. 2001/02, mi permetto di farlo nella convinzione che quel progetto Fai, cui avevo aderito con una classe I particolarmente problematica, in qualche maniera abbia fatto approdare la mia testa e il mio cuore in questa terra straordinaria ma soprattutto abbia aperto a quegli alunni un mondo di storie che, partendo proprio dal luogo in cui vivevano ogni giorno, si diramavano verso un passato lontano, che essi riconoscevano sempre meglio come il loro, come la loro storia.

Quegli itinerari turistico-culturali sinnaesi che la IA, con il supporto di tutto il Consiglio di Classe, aveva tradotto in brochure, allora, una volta per tutte, mi hanno convinta del fatto che si può – forse addirittura si deve – tentare un approccio alla Storia attraversando sul campo la storia locale, ascoltando le storie del luogo, dando voce alle pietre, rintracciando nelle chiese, nelle piazze, per le vie, i segni di quella storia perduta, che invece è un bene da non disperdere, ma da curare ed accudire come un patrimonio prezioso. Per queste ragioni, credo, oggi sono qui, anche come rappresentante della Delegazione Fai di Cagliari.

Come ritrovare dunque, concretamente, nella realtà delle nostre classi e delle nostre vite, la nostra storia perduta? Guardando, leggendo, ascoltando. I tre gerundi comportano ciascuno una sfera di azione che probabilmente molti dei presenti hanno già sondato e scandagliato. Guardare il luogo attraverso l’archeologia, leggerlo attraverso i documenti, ascoltarlo attraverso le sue storie. I tre gerundi possono pure condensarsi in un unico “manufatto”, il libro. Ma quale libro, in classe, per la nostra storia “perduta”? Un libro di storia fatto di storie. Un romanzo storico.

Quando ho accolto l’invito all’incontro odierno, sinceramente pensavo di concentrare il mio discorso sui problemi connessi con questo genere letterario, su quei problemi che paradossalmente vide fino alle conseguenze più estreme proprio colui che aveva regalato all’Italia la legittimazione letteraria del romanzo. La natura ibrida del romanzo storico, quel suo essere “genere misto di storia e invenzione” – per citare lo scritto in cui di fatto Manzoni finisce con il negare l’attendibilità storica del genere stesso, la natura ibrida del romanzo storico – appunto -ne costituisce il limite e al tempo stesso la potenza, in un rapporto dialettico che rispecchia la polarità stessa tra History e Story, tra storia e storie. Ma sta proprio in questo interstizio fluido, in questo sovrapporsi avvincente di piani intersecantisi, la potenzialità didattica di questo genere narrativo.

Di là dal mare magnum di problemi connessi con il romanzo storico in quanto tale dal punto di vista storiografico e narratologico, in classe, con le dovute precauzioni, esso permette una visualizzazione della Storia attraverso il filtro delle storie dei luoghi, che acquistano così vita propria e iniziano a raccontare. Lo spazio noto – le pietre, i palazzi, le piazze – rivive negli sguardi rinnovati attraverso la lente straniante della finzione letteraria, pericolosa, certo, ma coinvolgente, motivante. Il successo dei romanzi storici, di cui oggi, in Sardegna soprattutto, si assiste ad un boom significativo – la bella trilogia di Vindice Lecis ne è preziosa testimonianza -, è una costante nella storia letteraria, pur con fasi alterne di valutazione estetica.

Questo dato è un indubbio segnale della versatilità del genere e del suo immenso potenziale comunicativo . Non utilizzare un simile potenziale per avvicinare gli studenti alla storia proprio là dove pullulano romanzi ambientati nel loro stesso territorio significa perdere un’occasione. L’occasione di raccontare una storia che ci conduce, pagina dopo pagina, a guardare con occhi nuovi luoghi noti, ad ascoltarne le voci, a leggerne le tracce. E’ l’occasione di incontro con il nostro passato in un mosaico di domande in costruzione, collettivo, aperto, promettente. Grazie.

*Docente Liceo Classico G.M. Dettori. Cagliari. Delegazione Fai Cagliari

 

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